Love Market
Le porte si aprono facilmente. Scorrono al momento giusto lasciandolo passare liberamente, senza costringerlo a rallentare o fermarsi. Non è sempre così. A volte sono lente e ti obbligano a cambiare andatura, oppure il sensore non rileva la tua presenza, allora ti tocca ritornare indietro e fargli presente in qualche modo che esisti. Che sei tridimensionalmente rilevante. Che sarebbe meglio aprire senza fare troppe storie, se no potresti incazzarti sul serio e farlo saltare via con un colpo ben assestato di mazza da baseball, se ne avessi una. A quel punto però non potresti più entrare. Il solito dilemma. L’euforia del momento seguita dall’impossibilità di raggiungere il tuo obiettivo.
Dario aveva un obiettivo. Il suo obiettivo era Simona. Non che volesse farla saltare con una mazza da baseball. Non all’inizio. Voleva semplicemente che lei lo rilevasse. E in effetti dopo qualche tempo ci era riuscito, a farsi notare. Anzi, le cose erano andate ben al di là delle sue aspettative. Non solo Simona lo aveva notato, ma si era addirittura presa una cotta per lui. Lo aveva detto lei stessa, che era turbata. Aveva detto proprio così, sono turbata, non mi era mai successo prima. E dire che Simona era fidanzata da dieci anni. Dieci.
Dario non sa se prendere il carrello o il cestino. Sul carrello ti ci puoi appoggiare. Sì, è vero, lo devi spingere, ma ti ci puoi appoggiare. Il cestino te lo porti appresso, punto. Una fastidiosa appendice che aumenta progressivamente di peso. In ogni caso Dario non deve comperare un cazzo. Non è una questione di spazi da riempire, di liste della spesa. Non è una questione. Simona è la questione. Simona è un vuoto da riempire.
Simona che all’inizio gli era sembrata una stronza e per di più una rompicoglioni. Poi la luce era un po’ cambiata. A volte capita e non ti sai spiegare il perché. Capita e basta. Gli era apparsa all’improvviso meravigliosa e limpida come le giornate invernali verso sera. Simona, troppo bella per essere vera. Troppo bella, punto.
Il carrello sbanda. I carrelli che sbandano sono una vera piaga. Ti rovinano tutto il giro. Ti tocca correggere la traiettoria in continuazione. Una faticaccia. Dario lo abbandona nella corsia delle lavatrici, corsia del tutto priva di interesse tra l’altro. Chissenefrega della monetina da un euro. Quel cazzo di carrello non merita nemmeno di essere riportato indietro. Ne farò a meno, pensa Dario. Poi torna a prendere un cestino.
Uno dei problemi più fastidiosi, coi cestini, è che di solito sono sporchi. Hanno il fondo ricoperto di cartacce, guanti di plastica, sacchettini e spesso il suddetto fondo è incrostato di sporco nerastro. Dario ne solleva un paio e alla fine ne trova uno quantomeno accettabile.
Cammina piano, facendolo ondeggiare. Fissa il vuoto e vede lo sguardo di Simona, seduta al bar davanti a lui, qualche giorno prima. Protesa, aggressiva.
Simona lo guardava a quel suo modo che mette in imbarazzo. Dolcissimo e glaciale insieme. Uno sguardo a cui non puoi mentire. Uno sguardo che non puoi evitare. Dario si ingozzava di patatine e la buttava sul ridere. Lei era bellissima, mentre spostava una ciocca di capelli neri e rideva alzando tanto le sopracciglia, e gli angoli della bocca. Simona è bellissima. Aveva sempre quell’espressione sarcastica, e la battuta pronta. Simona saprebbe neutralizzare uno stupratore con una risposta sagace.
Dario si tuffa nel reparto cartoleria. I bisogni te li crei osservando gli oggetti. Ad esempio, vedendo una vaschetta gialla di plastica, porta documenti, Dario pensa a cosa potrebbe servirgli. Non fatica a trovare un’opportunità di utilizzo. Quella vaschetta sicuramente gli serve. Ad esempio per raccogliere ordinatamente le lettere che arrivano dalla banca. Foto rubate di Simona. Oppure i ritagli di giornale. Non che sia uno da ritagli di giornale, anzi, è probabile che non abbia mai ritagliato alcunché da nessun giornale, tuttavia potrebbe iniziare, dopo aver acquistato quella vaschetta. Riempirsi la testa di cazzate è un buon metodo per dimenticare. Ragionarci persino, sulle cazzate. Per cancellare Simona.
Simona sì, ha una faccia da ritaglio di giornale. Una faccia da fotomodella. A volte Dario non riusciva a guardarla, si sentiva in imbarazzo. Si sentiva inadeguato. Era passata a prenderlo alle cinque, al lavoro, e lo aveva portato via. Ti porto via, aveva detto, ti rapisco. Quello era uno dei giorni in cui lei era dolce e di buon umore. Poi c’erano i giorni in cui si preoccupava solo di fare chiarezza, e allora era una palla al piede. Domande ripetute all’infinito e discorsi ossessivi. Invece quel pomeriggio era trascorso così, leggero, senza baci. Avevano camminato e riso, intrecciati dentro, come se una corda elastica li legasse lasciandoli liberi allo stesso tempo. La felicità può durare anche due ore.
Il tempo di un giro al centro commerciale. Dario è ancora al reparto cartoleria, la mente altrove, gli occhi sulle rubriche. Le avrà guardate e riguardate almeno venti volte. Mi serve una rubrica, pensa all’improvviso. Una rubrica su cui scrivere, anzi trascrivere, i nomi degli amici e dei conoscenti. E perché no, magari anche dei ristoranti dove si mangia bene, quelli dove fai bella figura se ci porti una ragazza con cui esci da poco. E forse anche i locali. Allora, pensa Dario, forse è meglio prenderne due di rubriche, una per amici e conoscenti e l’altra per i ristoranti e via discorrendo.
Alla fine prende due rubriche a quaderno, una rossa, per i ristoranti, e una nera per gli amici e i conoscenti. Sta per buttarle nel cestino quando una signora, proprio lì accanto a lui, afferra un portapenne arancione di plastica trasparente a tre scomparti. Quello sì che gli sarebbe utile. Cazzo. Un portapenne a tre scomparti. Rimette a posto le rubriche e appena la signora si allontana – e ci mette un bel po’ di tempo a muovere il culo da un’altra parte - appena si allontana di qualche passo acchiappa anche lui un portapenne arancione – c’è anche verde ma è un verde muschio di fogna - e ne valuta la capienza soddisfatto. In quel momento la signora si volta verso di lui e accenna un sordido ghigno di scherno. Dario si affretta a infilare il portapenne nel cestello e si allontana rapido.
Nel portapenne metterà quegli evidenziatori che stanno sempre sparpagliati sulla scrivania, la gomma bianca, una matita 2B, la biro dell’Hotel Palace e un pennarello nero indelebile a punta grossa. E la cucitrice.
Dario passa accanto alle corsie accessori per auto ed elettricità. Sta per tirare dritto verso il reparto cucina quando nota una commessa che mette a posto i deodoranti per auto. Non è bella, ha una faccia strana, allungata, con gli occhi un po’ sporgenti e la fronte ampia. Gli occhi però sono azzurri. E poi ha un piercing al sopracciglio destro e uno sotto al labbro. Si volta un attimo verso di lui e sorride. Poi torna ai suoi deodoranti. Arbre magic, Ambipour e roba così. Dario la fissa, immobile. Fissa i suoi piercing. Cazzo, pensa Dario. Se non avesse quei piercing sarebbe un vero cesso. O comunque sarebbe del tutto insignificante. Sarebbe un cesso insignificante, punto. Invece mi piace un sacco, pensa Dario. Cioè, non come Simona, ovvio. Anche perché Simona è bellissima. Questa qui invece, beh. Tutto sommato non è così brutta. È particolare, un tipo particolare.
Simona è una modella in confronto. Ma non ha piercing o tatuaggi. Non veste alternativa. Quella sera era vestita di nero. Gonna a tre quarti, abbastanza stretta, che si allargava in fondo. Scarpe nere col tacco grosso, non troppo alto. Una camicetta viola e un maglioncino nero, legato coi lacci lunghi che facevano due o tre giri in vita. Calze viola: unico dettaglio stravagante dell’insieme. Si fa per dire.
In ogni caso, non si era vestita così per uscire con Dario.
Simona era fidanzata. Da dieci anni.
Dario si era messo la giacca di pelle. Le All Star viola. Aveva una gran voglia di vedere Simona. Aveva preso la macchina. Aveva guidato senza pensare a niente. Prendendo un paio di sensi vietati nelle strade strette della città muta. Si lasciava trasportare in giro, per viottoli e viali. Poi la tangenziale, con le luci arancioni che galleggiavano come dischi volanti nella foschia notturna. E strade buie, tra campi affacciati alle stelle. Dario toccava appena il volante. Decideva la macchina. E la macchina stava andando da Simona.
La tipa coi piercing si volta verso di lui e gli chiede se ha bisogno. Hai bisogno, dice. Ma non lo chiede con quel tono scocciato che hanno di solito le commesse. Lo dice con dolcezza, come se gliene importasse davvero qualcosa. Si ferma anche, mentre lo dice e piega la testa di lato. Lo guarda. Lui fa no, con la testa. Lei alza le spalle e torna ai suoi odori anti puzza per auto. Roba che fa vomitare peggio di un barbone che si è pisciato addosso. Dario pensa alle sopracciglia di Simona che si alzano. A lei che dice qualche battuta acida. E perde all’istante tutto il suo interesse per la tipa coi piercing. Scivola via, letteralmente. Gli piace far scivolare le scarpe come se stesse sciando. Questo quando ha le All Star e il pavimento è abbastanza liscio. Le All Star viola, come quella sera.
Si avvicina al banco salumi e prende un numero. Il 16. Adesso sono al 5. Una signora rotonda senza collo, con i fusò neri e le scarpe alte alla caviglia col tacco tozzo e una fibbia dorata di fianco, prende: un etto e mezzo di cotto quello in offerta, due etti di coppa, un etto di crudo San Daniele, una mozzarella fresca, una vaschetta di insalata russa e una di capricciosa, due etti di salame Milano, tre tomini, un pezzettino di gorgonzola, basta così grazie.
Dario aspetta che arrivi qualcun altro per liberarsi del proprio numero con un gesto di estremo altruismo. Un uomo con la barba e la cravatta. No. Un ragazzino lampadato. Nemmeno. Una ragazza bionda, coi jeans stretti e gli stivali da cowboy. Si avvicina col carrello. È concentrata sulla lista della spesa che tiene in mano. Dario spera che si fermi al banco salumi. Lei rallenta, sempre leggendo la lista. Alza gli occhi, sono verdi. Dario la sta fissando. Lei si ferma. Poi prosegue.
Affanculo, pensa Dario. Accartoccia il suo numerino nella mano e se ne va.
Simona lo aveva illuso. Lo aveva fatto sentire speciale. Sei pieno di sorprese, gli diceva. Ci siamo conosciuti in un momento sbagliato della vita, gli ripeteva. Sei la persona giusta al momento sbagliato. Affanculo. Quale cazzo di momento sarebbe stato giusto? Simona era fidanzata da dieci anni. Dieci anni prima sarebbe andato bene? Certi giorni lei lo rendeva euforico, certi altri lo faceva impazzire di rabbia e frustrazione. Devo sforzarmi di trovare il modo per trasformare quello che provo per te in una semplice amicizia. Così diceva Simona. Devo sforzarmi. Starò male ma ce la farò.
Perché devi sforzarti? Pensava Dario. Non sforzarti, cazzo! Non reprimere i tuoi sentimenti! Lasciali fluire liberi! No. Non è proprio possibile. Mi spiace.
Ormai era quasi arrivato. Vedeva le luci della città. Certo non sapeva dove trovarla, ma avrebbe cercato ovunque. Lei avrebbe potuto essere al cinema, o a casa di amici o del fidanzato. Allora sarebbe stato tutto inutile. Comunque Dario aveva deciso di provare, non poteva più stare senza di lei, aveva bisogno di vedere la sua faccia, di sentire la sua voce, di respirare il suo profumo.
Una candela profumata, ecco cosa mi serve, pensa Dario. Una di quelle nel bicchierino di vetro. Quella verde, relaxing green. Sono ottime per togliere la puzza di cibo e creano un’atmosfera rilassante. Un’atmosfera rilassante è quel che ci vuole. Alcune però hanno un odore nauseante, dolciastro. A volte le tengono insieme ad altre candele, ma più spesso sono nel reparto pulizia della casa insieme agli spray profumati e i deodoranti domestici. Dario pensa a quando accenderà la sua candela relaxing green e si godrà quell’aroma rilassante accucciato sul divano. Con la tivù spenta e le luci basse. Si infila nella corsia e incomincia a scandagliare gli scaffali dei deodoranti.
Dario crede nel destino. Il destino che ha portato Simona da lui. Il destino che lo condurrà da lei. Immagini della città vuota gli scorrono accanto. Un taxista che fuma davanti alla stazione appoggiato alla sua macchina, giardinetti oscuri, invasi di presenze invisibili, accecanti vetrine al neon, congelate su un fermo immagine che nessuno sta guardando, auto che scorrono senza meta sui vialoni deserti. Su una di quelle auto c’è Dario.
Si ferma in un locale. La gente, fuori sul marciapiede, fuma. Facce sconosciute lo guardano distrattamente. Entra e si fa largo tra la folla. Simona è seduta ad un tavolo in fondo alla sala, accanto al fidanzato e alcuni amici. Le luci sono basse ma lei lo vede. Si alza di scatto e va in bagno. Dario si guarda intorno.
La candela non c’è. Non solo non c’è quella verde, ma non ci sono nemmeno quella arancione, oriental nights o quella bianca, vanilla. Dario guarda ancora con attenzione, si concentra su uno scaffale per volta. Niente. Abbandona il suo cestino e si lancia alla ricerca del reparto candele. A volte c’è un espositore. Cammina veloce tra la gente lanciando rapide occhiate alla merce che gli passa accanto. Lui è fermo. Miriadi di colori e luci si mischiano tutto intorno. Non la trova. Torna dalla tipa coi piercing. Lei si volta piano e lo vede.
Lui entra in bagno. Si guarda allo specchio e inizia a piangere.
Lei si volta piano e lo vede. No. Non è proprio possibile. Mi spiace.
Dove sono le candele, chiede Dario trafelato. In fondo a questa corsia, dall’altra parte. Dall’altra parte. Mentre lo ripete è già lì. Ci sono incensi e candele generiche. Se lo sentiva.
Torna indietro a grandi passi superando la tipa. Trovata? Chiede lei. Ma Dario non risponde. Pensa a Simona e gli viene da piangere.
C’è solo una cosa da fare. Uscire dal supermercato. Torna alla porta scorrevole che questa volta è in ritardo. Apriti, cazzo! Ma la porta è chiusa. Al di là delle porte vetro il sole sta calando incandescente sul profilo nero delle cascine. La parola giusta non è cazzo, è sesamo. Mentre lo pensa le porte si spalancano. Corre alla macchina e mette in moto.
Forse è ancora in tempo.
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