28 giugno, 2013

Il pattinaggio e la metafora della vita

Se hai ai piedi un buon paio di pattini, sei sicuramente fortunata e a metà dell'opera perchè con un buon paio di pattini, si vola.

Si vola, sì, ma sei tu che devi avere il coraggio di inziare a spingere e lasciare la sbarra. Piano piano, allontanarti dal bordo pista e addentrarti verso il centro.

Vedi, più velocità prendi, più semplice sembra stare in piedi, più facilmente governi i pattini. Senti l'aria fresca che ti accarezza il viso e le gambe che cominciano a scaldarsi. E in un attimo dimentichi di non avere più appigli.

Inizi a girare, a macinare strada. Solo che non si può sempre e solo girare in tondo.

Pattinare vuol dire provare qualcosa di nuovo, spingersi oltre ciò che si sa già fare, per imparare qualcosa di nuovo, di emozionante.

Piega le ginocchia, inzia a pensare che dovrai faticare e metterci la testa. Tanta testa.

Cerca di essere morbida, di accompagnare i movimenti dei pattini, di essere elegante, anche se stai per finire col sedere a terra. Rialzati col sorriso.

Capiterà di sentirti addosso gli occhi di tutti, quando capitombolerai per terra, ma impara ad ignorarli, sarà più facile, la volta successiva.

Quando si cade, fa male, la pista è dura e la botta è forte, ma la cosa migliore per alleviare il dolore è continuare a muoversi e concentarsi sul passo successivo.

La schiena dritta, il sedere in dentro, le gambe piegate: ecco i fondamentali. Aiutati con le braccia, perchè è molto difficile restare in equilibrio.

I pattini sono pesanti, sono strumenti meravigliosi, ma a volte gravosi; se imparerai a gestirli al meglio, questo peso sparirà.

Non guardare gli altri. Concentrati su te stessa e sui tuoi pattini. Guardare gli altri può essere istruttivo, ma solo quando tu sarai ferma. Altrimenti è fuorviante, potresti distrarti.

Succede anche di dover saltare e allora guarda dritto davanti a te, fissa un obiettivo e concentrati: sguardo fermo, carica il peso e bum, salta e atterra cercando di ammortizzare il colpo, perchè in realtà non sai mai cosa ti riserverà l'atterraggio.

Non pensare però che guardare avanti sia sempre la cosa giusta: ti capiterà di doverti voltare e guardare indietro. Serve a mantenere l'equilibrio.

Quando sei stanca, prendi fiato. Talvolta gira la testa, a furia di provare trottole, ma poi un po' ci si abitua.

Osa. Quando hai imparato qualcosa, il segreto per imparare qualcos'altro è osare, mettere da parte la paura e provare. Provare e riprovare. Ti servirà del coraggio. L'unica cosa che può frenarti è la paura.

Ma l'unica cosa che può capitarti è cadere, ma come abbiamo già detto si cade, si sente il dolore e ci si rialza.
Col sorriso.

E si ricomincia.


27 giugno, 2013

Pausa caffè

Mi piace tanto lavorare in un ufficio di nerd.

Mi piace che siano nerd anche le donne, che io possa venire in ufficio in maglietta, jeans e converse ed essere la più elegante del gruppo solo perchè i colori che ho addosso non fanno a pugni tra di loro e col buon senso.
Mi piace constatare la spensieratezza della mia collega che sfoggia pantaloni verde milatare, canotta giallo canarino, golfino fuxia e ballerina bianca.

Mi piace essere l'unica a fare un lavoro "non tecnico", perchè dopo la prima fase del "Chissà quella nuova cosa fa", ora che è appurato che faccio qualcosa, intorno a questo qualcosa aleggia un alone di mistero.
Mi piace che io possa chiudermi nel mio stanzino, per non far sentire agli altri quali immani scemenze racconto ai malcapitati all'altro capo del filo e svelare il mistero di cui sopra.

Mi piace che il caffè qui sia davvero ottimo.
Mi piace che ci si chiama sempre l'un l'altro per il caffè, così si fanno due chiacchiere.

Certo che se, durante la mia agognata pausa, seguendo la regola aurea che Al caffè non si parla di lavoro, questi/e benedetti/e figlioli/e sviscerano la questione della trazione integrale sulla neve fresca, del cambio con l'opzione "neve" o "sterrato", di come si ovalizzino i cerchi in lega se usati in percorsi impervi....beh allora forse mi annoio un po'.

26 giugno, 2013

June 25th 2013, but "Here Today" - Ieri all'Arena

Tra le tante canzoni. Tra quelle mai eseguite dal vivo. Tra quelle rivisitate in chiave più rockettara. Tra quelle immancabili e intramontabili, che uniscono almeno quattro generazioni.
Tra tutte queste canzoni, c'è stata anche questa, dedica paurosamente toccante ad un amico che non c'è più.

And if I say I really knew you well,
What would your answer be?
If you were here today.
Uh, uh, uh, here today.

Well, knowing you,
You'd probably laugh and say
That we were worlds apart.
If you were here today.
Uh, uh, uh, here today.

But as for me,
I still remember how it was before
And I am holding back the tears no more.
Uh, uh, uh,
I love you, uh.

What about the time we met? (what about the time?)
Well, I suppose that you could say
That we were playing hard to get.
Didn't understand a thing,
But we could always sing.

What about the night we cried? (what about the night)
Because there wasn't any reason
Left to keep it all inside.
Never understood a word,
But you were always there with a smile.

And if I say I really loved you
And was glad you came along.
Then you were here today,
Uh, uh, uh, for you were in my song.

Uh, uh, uh, here today.








Io non c'ero, ho pensato di farla, la follia, ma sarebbe stato troppo complicato. Inutile dire che se mai uscirà un'incisione ufficiale, non la perderò.

25 giugno, 2013

Nido vs Nonni

ATTENZIONE ATTENZIONE! Il blog della Lizzie assume or ora le sembianze del più classico dei Mummy Blog affrontando un tema scottante: "Il nido o i nonni?" quindi chiedo scusa a chi non ha per casa una creatura bassa perchè potrebbe trovare tutto ciò assai noioso.

Tra le tante semplicistiche dicotomie ci appicciacchiamo addosso, dopo la più celebre "Tetta o Biberon", in seconda battuta troviamo "Nido o Nonni".

Io conosco molte più mamme da nido, che mamme da nonni.

Le mamme da nido sostengono che sia educativo, formativo, che aiuti i piccoli a sviluppare doti quali socievolezza, spirito di adattamento, di indipendenza, la fantasia e il linguaggio.
Queste mamme, talvolta sostengono di non voler chiedere aiuto ai nonni, di non voler "dipendere" dai nonni, di volersela cavare da sole, di voler essere quindi indipendenti. I nonni a volte fanno cose che non condividiamo, sono troppo o troppo poco apprensivi/permissivi, fanno vedere troppa tv, somministrano dolci senza ritegno. Da lì, la decisione di spedirli al nido.
E mi sta bene. Non giudico, sto cercando di CAPIRE.

Queste mamme, sanno meglio di me che durante l'anno, nella maggioranza dei casi, i loro piccoli sono ammalati con una frequenza notevole: chi si è preso la sesta malattia (eh va beh, quella in pochi giorni passa), chi l'otite, chi la bronchite, chi la mani piedi bocca o come cavolo si chiama. Ho notato che a volte poi, nel caso della bronchite o dell'otite, il piccolo se la trascina per un sacco di tempo.
La mia collega per esempio, al grido di "voglio la mia indipendenza" sta saltando un sacco di giorni di lavoro per stare a casa col suo piccolo ammalato e NON chiedere aiuto ai nonni.
Permettetemi di essere perplessa.
Eppure, quando spiego che per ora io affido la Ballerina ai nonni, spesso (non sempre) colgo del rimprovero nello sguardo e nelle parole della mamma interlocutrice.
Di solito le argomentazioni sono "Tanto se non si ammala adesso si ammala dopo" E non è meglio? Quando è più grande e sa dirti COS'HA?
Oppure "Perchè la tua non si ammala?

Ma certo.
Anche la mia bimba si è ammalata durante l'inverno, ma grazieadio ha avuto solo raffreddoracci con qualche linea di febbre e io sono sempre andata a lavorare, perchè mi aiutavano i nonni.
La Ballerina sta coi nonni, che sono relativamente giovani e in pensione, tutti contenti e felici di averla con loro. E' vero, ogni tanto devo impormi e alzare la voce per certe cose, ma poi fanno come dico io.
La Ballerina non è una reclusa, i nonni la portano al parco, dai cuginetti, la portano in spiaggia, a spasso, in bicicletta e l'hanno portata anche in piscina tutto l'inverno.
Non sono le uniche persone che conosce, non sta solo "coi vecchi" (provate a dire vecchia a mia madre..).
La Ballerina, con Darcy e me, frequenta i nostri amici e le loro case, esce a cena con noi e altre persone con figli, gioca con gli altri bambini. Non mi sembra abbia problemi di socializzazione: parla, a suo modo, ma parla continuamente e interagisce alla grande.

Ora io chiedo aiuto a chi ne sa più di me: secondo voi, devo continuare così e aspettare il prossimo anno la scuola materna, o mandarla qualche ora al nido, a settembre? Mandarla al nido sarebbe così formativo da aiutarla poi alla materna?

Sono graditi i vostri suggerimenti!

24 giugno, 2013

Riconciliazione

Vivere qui, dove sono nata, talvolta è difficile.
Non sei libera di andare in ferie, cambiare bicicletta, comprare un vestito nuovo a tua figlia, che subito per strada gireranno commenti e giudizi.

- Ah, si vede dove ci sono i soldi! Certo, come no.
- Un altro vestito nuovo? La mamma ti vizia! E allora?
- Beati voi, voi sì che state bene! Machenesai??
- E l'orologio biologico? tic tac, è ora di fare il secondo! Vai avanti tu, io ci penso ancora un attimo.
- Hai trovato lavoro in città?? Ma che FORTUNA! Fortuna tua sorella, mi sono data da fare, le ho inventate tutte, mancava solo che telefonassi al Papa.*

E via di questo passo. Non è un paesello, è una piccola città, ma le lingue corrono come se fossero in Ferrari.

A volte è difficile perchè non c'è lavoro. *
Dopo essere stata miracolata con questo contratto di un anno, se non dovessero prolungarmelo, non so davvero a che Santo mi voterò. Ormai è una città dormitorio, le aziende sono ridotte al minimo e chi lavora qui lo fa nello studio di famiglia (avvocato, notaio, medico), nella scuola, in comune/provincia o in ospedale. And that's it. Politiche di incentivazione allo sviluppo economico: fallite o non pervenute addirittura.

E' difficile per il clima.
"Chi è nato e vissuto qui può vivere ovunque", soleva dire un mio caro ex collega. Ed ha ragione, ragazzi. Inverni lunghi, freddi, umidi, nebbiosi, a volte nevosi. Primavere umide e calde (tranne quest'anno), estati torride all'insegna della convivenza con le zanzare e brevi, sempre più brevi autunni.

E' difficile, difficilissimo accettare lo scempio quotidiano che abbiamo davanti agli occhi. Vedere una città che sarebbe a misura d'uomo, che potrebbe avere del turismo, dove si potrebbe vivere davvero bene. Tutto al condizionale.
Il centro storico, antico e tutto sommato ora ben tenuto, porta comunque le cicatrici delle politiche edili degli anni 60, quando palazzi storici sono stati demoliti per far posto a dei mostri. Monumenti che potrebbero risorgere, anche con nuove funzioni, abbandonati all'edera solo per cavilli burocratici. Piste ciclabili al limite del ridicolo. Piazze trasformate in parcheggi.

Eppure.

E' domenica mattina, una bella domenica di inizio estate, c'è il sole e una piacevole arietta. Prendiamo le biciclette, sistemiamo la Ballerina sul seggiolino, le mettiamo il suo casco verde-acqua e via, si parte. In pochi minuti siamo al campo di aviazione, sabato e domenica attivo e frequentato dai privati e dalla scuola di paracadutismo. Vediamo qualche aereo decollare ed atterrare. Proprio come facevo io, da piccola, con mio papà.
Proseguiamo, attraversiamo la periferia e puf, in un attimo siamo in aperta campagna. Distese di risaie a perdita d'occhio. Avete presente le risaie? In primavera, quando sono allagate, possono regalare paesaggi meravigliosi, ma anche d'estate, quando il riso è cresciuto, sono bellissime, perchè il verde del riso e brillante, lucido, pulito.
In mezzo alle risaie distinguiamo aironi cinerini, anatre, gallinelle d'acqua, garzette, ibis e altre bestiole che non riconosciamo. Lungo i fossi, sentiamo gracidare le rane.

Torniamo a casa per l'ora di pranzo, dopo aver percorso ben 16 km! La mamma è stanca, ma soddisfatta, nonostante l'arrossamento sulle spalle che doveva evitare, ma pazienza. La mamma è felice di aver trascorso una bella mattinata con il papà e la Ballerina, in mezzo al verde e alla piccola fauna locale, ricordandosi che poter fare queste gitarelle è una fortuna e riconciliandosi un po' con la sua città.

21 giugno, 2013

Appartenenza

Appartenere a qualcosa non è mai stato il mio forte.

Fin da piccola ho manifestato un'indole indipendente, maniacalmente gelosa dei fatti miei e dei miei pensieri. Qualsiasi stupida domanda, finive per irritarmi, tutto per me era un'invasione nel mio territorio e non volevo avere niente a che fare coi territori altrui.
Mia mamma è diventata quasi matta prima di capire quanto fossi diversa da lei, quanto non sentissi il bisogno di inquadrarmi in qualsiasi gruppo, di uniformarmi a qualcosa e quanto invece sentissi un profondissimo bisogno di indipendenza, di trovare me stessa solo in me stessa.
Figuriamoci sentire sentimento di appartenenza per qualcosa.

Mi venivano i brividi, guardando i film americani e sentendo parlare di "gruppo delle cheerleaders", "confraternite", "gruppo del giornale del liceo", "gruppo delle ragazze più popolari della scuola". Mi venivano i brividi rendendomi conto che chi non rientrava in una di queste o delle altre realtà di cui è composta la vita scolastica americana, sarebbe stato un tagliato fuori.
Del resto è un po' quello che raccontavo qui

In ogni fase della vita ho avuto i miei buoni motivi per "non appartenere". Rossa di capelli, già questo mi poneva in un piccolo semi-isolamento cromatico (vi gaarantisco che da bambina in certi momenti è stato un calvario), con idee un po' particolari in testa e soprattutto l'odio viscerale per tutto quello che consideravo "atteggiamenti da oca", la mia adolescenza è trascorsa in compagnia di Bono, Freddie, Axl e altri simpatici signori (tipo Beatles, Deep Purple, Clash...). Erano loro i miei migliori amici. Ci sono stati i momenti in cui si è insinuata nel mio cervello una punta di invidia per chi era popolare, per chi era parte di qualcosa, per chi al centro di qualcosa. Ma poi, razionalmente, io sarei stata a mio agio nei loro panni? No, io stavo bene dove stavo. Nella mia stanza, con la mia musica e i miei libri.

Poi si cresce, si cambia, si va all'università e anche lì, nonostante tutto, si appartiene a poco. Ma non importa più.

Forse a ben pensarci, l'unico momento in cui mi sono sentita di appartenere a qualcosa con piacere, è stato durante il corso di formazione per il lavoro alla Multinazionale. Ma c'erano delle condizioni particolari a contorno.
  • ero ubriaca di gioia per aver ottenuto un contratto a tempo indeterminato
  • ero ubriaca di gioia perchè avevo sempre desiderato tantissimo visitare l'Irlanda e non solo ci sarei andata, ma pure gratis
Quindi immaginatevi quando mi sono ritrovata a cammianre sotto quei palazzi specchiati in mezzo al verde, a girare per quegli uffici pieni di gente giovane e proveniente da tutti gli angoli del pianeta, io, piccola italiana media col mio bicchiere di polistirolo in mano pieno di orrendo caffè. Un caffè buonissimo, in realta.
Appartengo a qualcosa di grande, di importante, mi dicevo. E ne ero superfiera.
Come ben sapete però, è stato un senso di appartenenza tanto intenso ed inebriante quanto effimero.

Oggi so che appartenere non è proprio nelle mie corde. Sono come un gatto. Amo la mia casa, mi ci rifugio quando fa freddo, ci sto bene, benissimo, ma non appartengo a niente. Cerco e ho bisogno dell'affetto e dell'amore della mia famiglia, di cui non potrei mai fare a meno, ma non appartengo a nessuno, non cerco il senso di appartenenza. Sono sempre stata fuori e continuerò a stare fuori.

Anche qui, nella blogsfera, ho trovato un sacco di fantastiche blogamiche che mi hanno dato comprensione, conforto e supporto, ma il mio blog, come me stessa, non appartiene a nessuna precisa categoria.


Questo post partecipa al Blogstorming del mese sul tema dell'appartenenza.


20 giugno, 2013

Staccate vs Taccate

Ovvero me vs mia suocera.

Dovete sapere che io e mia suocera andiamo d'accordo. E' una donna pratica, che tende a farsi i fatti suoi (per me la DOTE SUPREMA, per un essere umano), che mi aiuta quando chiedo e senza presentare il conto. Mia suocera non ha idealizzato e piedistallizzato il suo pargolo trasmutandolo in un essere perfetto, incrocio mitologico tra Mozart, Leonardo da Vinci, Einstein, Shakespeare e Brad Pitt. Nonnò, lei è ben conscia della di lui testa granitica e della sua tendenza (con lei) ad assumere atteggiamenti degni di una grattugia.

TUTTAVIA

costei, potrebbe tranquillamente mangiarmi in testa, sfondando ella il limite del metro e settantacinque (staccata), associando a tanta statura una perfetta taglia QUARANTADUE, cosa che io ho sfoggiato fino a 21 anni, barando pure perchè gli ultimi acquisti di tale taglia erano stati fatti a Londra, dove le taglie, si sa, sono più generose che qui in Italia.

COMUNQUE

non paga di ciò che Madre Natura le ha donato, mia suocera sfoggia tacchi vertiginosi con la disinvoltura di un airone in volo: avete presente? Qui ce ne sono parecchi, esseri longilinei e di un'eleganza dal mal di testa. Se ne frega altamente se portando cotanti tacchi, raggiunge e supera il marito, tanto più che se ne frega anche lui, quindi, tutti felici.

Io. Io sono di un'altra pasta.
Io sono semplice, anche se mia madre direbbe il contrario. Io prima di tutto penso a star comoda. E fin da quando sono bambina, sulle scarpe mi sono imposta. Per dire, dato che ero una abbastanza maschiaccia, avevo confidenza con terreni erbosi, sassosi, ghiaiosi, fangosi, ecc...guai a propormi un sandalo.

Crescendo, ho maturato un grande amore per quelle che oggi chiamiamo Sneakers. Ne ho collezionate mille milioni di miliardi. Alcune demolendole letteralmente (le ultime non sono sopravvisute ad una gita in Svezia durante la quale ci ha colti la neve...).

Di tela, di pelle, a metà, bianche, nere, colorate. Davvero non saprei contarle.
Ho comprato le ultime una settimana fa al mare. Già, al mare. Dove gli altri esseri umani comprano le infradito.

Io sono una mamma staccata. Ma non staccata e basta: sono staccata con le sneakers.
Le scarpe col tacco sono belle, ne ho anche diverse, ma mi servono in occasione di
  • Matrimoni
  • Battesimi/Communioni/Cresime
  • Cene particolarmente fighe
  • Colloqui particolarmente importanti

Basta.

Ripeto, sono belle, mi piacciono tanto, ma come può piacermi un Van Gogh: lo guardo avidamente, ma so che mai potrò permettermelo.

Ero staccata prima, figuratevi adesso che devo correre dietro ad una trottola di due anni.


Mamma staccata


QUESTO POST PARTECIPA ALL'INIZIATIVA STACCATE VS TACCATE DI LA STACCATA.

Bilancio della serata

Cos'ha veramente significato rimettere i pattini e riprendere confidenza con le rotelle?
Rischiare di prendere un paio di culate mentre tre ragazze poco più che ventenni volteggiavano armoniose?
Arrivare a casa disfatta e pezzatissima, dover ancora mettere a nanna la piccola, farsi una doccia e mangiare qualcosa?
Addormentarsi placida sul divano prima di mezzanotte?

Ne è valsa la pena?
La risposta è SI.

Perche tutto ciò ha significato questo.

Prendersi un'ora e mezza per sè, solo per sè. Per Lizzie in quanto Lizzie. Non la mamma, non la moglie, non la figlia, non l'amica. Per fare semplicemente qualcosa che mi piace.

Scivolare sulle rotelle, darsi la spinte a sentire l'aria sulla faccia, avere la sensazione di essere leggera, quasi senza peso.

Tornare indietro nel tempo, a quando pattinavo quasi quotidianamente, mai per competere, sempre e solo perchè mi piaceva.

Sudare, perchè nel palazzetto fa caldo, espellere tossine, roba brutta!

Ritrovare l'energia e la voglia di recuperare altre passioni perse per strada. Subito.

Svuotare la mente. Non pensare ad altro che a quello che si sta facendo in quel momento. Niente più pensieri, niente più preoccupazioni.

Chiacchierare piacevolmente con una ragazza intelligente e simpatica. Di cose stupide, ma anche di cose serie.

Dare l'occasione ad un papà che ultimamente vede poco la sua piccola di stare con lei tutta la sera: preparle la cena, aiutarla a mangiare, canticchiare le canzoncine di Peppa Pig, farla giocare dopo mangiato, farle il bagnetto. E per metterla a nanna...beh, per quell'ora essere a casa.

Dare l'occasione alla piccola di stare col suo papà e di prendere un pochino, solo un'oretta e mezza, le distanze dalla mamma. Perchè ultimamente sei proprio mammona, vero Ballerina?

Sentire, dopo, quella piacevole sensazione nelle gambe, perchè si sono mosse, hanno lavorato. Quella stanchezza positiva che fa riposare bene, nonostante il caldo.


E mercoledì si replica.

19 giugno, 2013

Cosa succede....

...se diventi amica della ragazza del padrino di tua figlia?

Niente, direte voi. Che ci sarai mai di strano.


Metti un padrino giovane, classe '84.
Metti che sia il fratello del tuo migliore amico.
Metti che l'hai visto nascere e crescere.
Metti che sia diventato una persona adulta stupenda, tanto gli chiedi di essere, appunto, il padrino di tua figlia.
Metti che abbia una fidanzata carina, colta e intelligente.
Metti che la fidanzata abbia collaborato con tua mamma per anni per un'associazione che organizza e gestisce scambi studenteschi.
Metti che quindi, sia già quasi di famiglia.
Metti di scoprire che lei va a pattinare.
Metti che tu AMAVI UN SACCO pattinare, ma non coi rollerblades, con quei pattini con 4 ruote e lo stivaletto bianco, molto 80s.
Metti che ti chieda di andare con lei e tu, non entusiasta ma molto, molto di più, accetti.
Metti di chiedere a tua mamma di recuperare nella sua cantina i tuoi vecchi, adorati pattini.
Metti di constatare che sono ancora perfetti.
Metti di pensare "cavolo sta ragazza però ha dieci...DIECI anni meno di me" e di fregartene. Alla grande.

Metti che stai rispolverando una tua passione....e che solo questo è l'importante!

18 giugno, 2013

Chi è il vero mostro?

Non ce l'ho con te, che sia ben chiaro, non sono assolutamente arrabbiata con te, ma mi si è bloccato il pranzo sullo stomaco.
C non è il tuo capo. Se pretende e richiede espressamente la tua presenza, dovrebbe essere informato che stamattina sei a Roma e torni stasera. Lo sa?
Lo sanno le persone che ti hanno ingaggiato per oggi a Roma che a Roma c'è una persona, un collega qualificato che copre i tuoi stessi argomenti?
CB e D o chi per loro lo sa che stasera torni a casa se va bene alle dieci di sera? E di grazia a che ora dovrai essere a Bergamo domani mattina? Lo sanno che sarai bello fresco e riposato?
B ogni tanto si ricorda che ha delle persone anche al Nord?
Non penso che sia normale richiedere la presenza una risorsa (orribile modo di definire una PERSONA) il giorno precedente all'incontro, soprattutto se questa persona si trova a 800km da casa.
Scusami per lo sfogo, ribadisco che non sono assolutamente arrabbiata con te, ma se potessi chiamerei un paio di persone e farei una piazzata.
Tutta questa rabbia è perchè ti voglio bene, ti vedo stanco, ti sei pure ammalato questa primavera, ti sbatti un sacco, sei bravo, pretendono la tua presenza come se fossi indispensabile, ma tutto questo non ha conseguenze positive. Non dico una promozione, o non sia mai, un aumento. Non mi interessano i soldi. Parlo di gratificazioni concrete, non soltanto email di elogio che spesso sembrano scritte col risponditore automatico.
Possibile che non esista un modo di lavorare più sereno? Possibile che tutto quello che otteniamo sia stress, fatica, stanchezza e ancora stress?

Poi urlano al mostro se un povero papà dimentica il proprio figlio in auto.

Ma chi è il vero mostro?

Tanti baci

QUESTO POST NON E' ALTRO CHE UNA EMAIL CHE HO INVIATO A DARCY POCO FA.
IERI, ENTRANDO AL SUPERMERCATO, GUARDAVO NELLE AUTO PARCHEGGIATE, MENTRE CAMMINAVO VERSO L'INGRESSO. PENSAVO "NON SI SA MAI, IO GUARDO"
AIUTATEMI A SOSTENERE QUESTA INIZIATIVA, PER LA QUALE RINGRAZIO FRANCESCA.

GRAZIE A TUTTI

 

Ma non lo farò

Potrei lamentarmi perchè di notte fa troppo caldo e la mia piccola suda, le vengono tutti i riccioletti umidi in testa e devo cambiarla tre o quattro volte al giorno.

Potrei dirvi che la mia pressione oscillante, appunto oscilla pericolosamente verso il basso. (Ricordo il mio minimo storico: massima 74, minima non pervenuta).

Potrei raccontarvi delle mie caviglie, che dopo 8 ore trascorse principalmente al mio tavolino pieghev scrivania, a sera assomigliano parecchio agli zamponi che cuociamo per capodanno.

Potrei lagnarmi del fatto che in ufficio, fino ad una settimana fa sembrava di essere in Alaska, adesso più o meno siamo alla latitudine della Malesia, con umidità annessa.

Potrei sfogare la mia frustrazione per le mie surfinie, passate dal timore del gelo alla secchezza dovuta alla caldazza.

Potrei dirvi che oggi vado a fare un intervento d'urgenza dalla parrucchiera perchè non sopporto più questa specie di coperta termica che ho in testa al posto dei capelli.

Potrei confessarvi che stanotte abbiamo acceso l'aria condizionata (la camera da letto è in mansarda, in questi giorni non si dormirebbe), ma che l'effetto collaterale di stamattina è un bel mal di testa fresco di stagione adagiato non tanto delicatamente sull'occhio destro.

Ma

Non

Lo

Farò

Quest'anno, dopo quella primavera di merda congiuntura climatica caratterizzata dall' incomprensibile assenza dell'anticiclone delle Azzorre, ho fatto il pieno di pioggia, di fresco, di vento, di nuvole, di cieli plumbei, di giacca anti pioggia/vento, di stivali, di pomeriggi in casa. Quindi, a meno che qualcuno non mi regali un viaggio in Cumbria, non voglio più vedere nuvole per almeno un mese.

Date perciò insieme a me il benvenuto a questa nuova Lizzie, che per la prima volta in vita sua, non si lamenterà del caldo.

Almeno per un po'.

17 giugno, 2013

Il gioco della felicità

Come sempre accade, il tempo annebbia la memoria e plasma i ricordi immergendoli nell'acqua di rose, cestinando sapientamente le cose brutte e piazzando lì, bene in evidenza, cosa c'è stato di bello e che ora non c'è più.
Di solito funziona così: gli anni delle superiori (ecco, per me forse non è questo l'esempio più azzeccato, ma facciamo finta), dell'università, dopo il filtro di una decina d'anni o più, ci sembrano ora un periodo celestiale in cui noi eravamo
-giovani
-spensierati
-con niente da fare
-magri

La musica era più bella, l'estate era più lunga, le giornate più intense.

La realtà era ben diversa, lo sappiamo tutti bene.

E sapete anche che per me c'è stato un analogo processo di mitizzazione col lavoro, tanto amato, poi in parte detestato (in realtà non il lavoro in sè, ma è lunga e noiosa da spiegare), ri-apprezzato e infine perso.
Ecco, la mia mente ha abilmente rimosso la fase "in parte detestato": ma ora lo so e ci convivo, so che c'è stata, solo che non la ricordo, non voglio farlo.

Il paragone col presente è pesante. Ma prendendo spunto da una cosa scritta da Seavessi e che ritengo saggissima, dobbiamo pensare che il meglio debba ancora venire.
Preoccuparsi, arrabbiarsi, dannarsi l'anima, sono tutte inutili attività cerebrali, attività che potrebbero essere sostituite con altre ben più costruttive.

Credo che cercare il meglio in ogni giorno sia una vera sfida, in questo periodo, ma una sfida che valga la pena raccogliere. Per il nostro bene e per quello di chi ci sta intorno.
E' un po' quello che faceva Pollyanna, bimbetta sovrana di grandi sfighe, ma che aveva un segreto: cercare sempre il lato positivo in ogni cosa le capitasse. Lo chiamava "il gioco della felicità", trovare sempre una ragione per essere felici.

Spesso c'è, quasi sempre c'è, è che non ci pensiamo, non ci facciamo caso, non ci rendiamo conto, presi come siamo dalla fretta di fare qualsiasi cosa. Ma c'è sempre un motivo per rallegrarci e pensare che il meglio debba ancora venire.

Anche oggi.
Anche qui.



13 giugno, 2013

Non ha prezzo


Vedere la tua bambina che prima sorride un po' timidamente, ma poi rompe il ghiaccio e prende per mano la figlia di una delle tue più care amiche, vederle ridere ed abbozzare qualcosa che potrebbe sembrare un primo, piccolo giocare insieme, non ha prezzo.


Un brutto giorno

C'era una volta un amico da tanto, tanto tempo (quantifichiamo? quantifichiamo: 26 anni) che esce con una bella ragazza. Stanno insieme un paio d'anni, convivono. Poi un brutto giorno, si lasciano. Ma lei è incinta. Provano a ricucire, ma non funziona.

In quella fase, io conosco anche lei: bella, intelligente, determinata, risoluta, ferita, amareggiata, ma felice del suo pancino. Frequentiamo insieme il corso preparto, diventiamo amiche mentre la sua storia d'amore finisce.
Nascono le nostre bimbe, a un mese e mezzo l'una dall'altra. Durante tutti i mesi della gravidanza e della maternità, ci frequentiamo e lei mi racconta, si confida, ma non mi fa mai domande tendenziose, pur sapendo quanto io sia in confidenza con il papà della sua bambina. La aiuto con l'inglese per dei colloqui, viviamo insieme anche l'amara fase della ricerca del lavoro.

Poi io lo trovo e lei anche, quindi ci vediamo un po' meno, ma quando capita lei mi aggiorna. Mi parla di avvocati, di test del DNA, di tribunali, di riconoscimenti, di doppio cognome. Io ascolto incredula. L'ammiro, per come cresce sola la sua splendida bambina.

D'altra parte rifletto, so di aver sempre e solo sentito una campana sola, non posso fare a meno di chiedermi cosa mi racconterebbe il mio amico.
Mi rendo conto che lei mi parla di una persona che non riconosco. Ma ne sto fuori, visti i miei precedenti di coinvolgimenti non voluti... tengo per me qualsiasi giudizio, consiglio, parere, considerazione.

Un brutto giorno però, lui mi chiama.
Mi dice che stanno procedendo per vie legali, per decidere tempi e modalità con cui lui i suoi genitori potranno vedere sua figlia e io compaio nella documentazione del legale di lei come "teste", teste di qualcosa, qualcosa che non so. Io casco, ma non dal pero, casco da una delle Petronas Towers, non ne so nulla, proprio niente, zero, nessuno mi ha informata di questa cosa e ci resto male, non poco. Parliamo a lungo, mi racconta tante cose, le stesse identiche cose che mi ha raccontato lei mesi fa, solo viste dalla prospettiva opposta. Lui ha la voce rotta, ha paura. Adesso lo riconosco. Forte fuori e fragile dentro.

Capisco che non c'è un giusto e uno sbagliato, una ragione e un torto. C'è una situazione in cui l'incomprensione, l'incomunicabilità, le ferite del passato mai lenite, le cicatrici e la paura del futuro, l'hanno fatta da padrone e hanno mandato all'aria tante vite, toccando purtroppo anche quella di una innocente bambina.

Ripercorrendo con la memoria eventi passati, individuo finalmente l'episodio a cui potrebbero riferirsi le carte. Per fortuna non è nulla di cruciale, ma Signore ti prego, fai che non mi chiamino mai a testimoniare alcunchè.

12 giugno, 2013

L'uso sapiente delle buone maniere

Prendo in prestito il titolo di un romanzo di un autore che amo e vi consiglio, Alexander McCall Smith. (Fine del messaggio promozionale!)

Stai passeggiando per un tipico vicoletto ligure, stretto e affollato, con una dueenne per mano che, dall'alto dei suoi 90cm di altezza, non ha uno stacco di gamba prodigioso: cammina piano, col suo passo. Cosa impedisce ad alcune persone di chiedere Scusi sono di fretta, mi fa passare per favore? Cosa spinge invece a bofonchiare tra sè in tono polemico stando però attenti che il volume permetta di essere sentiti Ok ma se qui mi facessero passare!

Stai discutendo di una mail ricevuta con il tuo capo. Gli chiedi dei chiarimenti, perchè supponi che lui abbia più esperienza di te e possa sapere cose che tu non sai. Cosa gli impedisce di risponderti Lizzie non so neanch'io, chiama il mittente e chiedi direttamente a lui, poi fammi sapere. Cosa lo spinge invece a dire, alzando la voce e con tono scocciato Lizzie, ti sto dicendo che non lo so! Devi pensarci tu, chiama sta persona e fatti dire più cose possibile.

Contesti diversi, uno privato e una lavorativo. Nel primo caso coinvolta una persona sconosciuta, nel secondo conosciuta. Eppure, risultato uguale: immotivata scortesia.
Potrei raccontare altri mille episodi.
Ecco, non lo sopporto, non sopporto le persone scortesi a prescindere, scortesi con con chi non c'entra nulla.
Se hai le balle in giostra per qualcosa, sono fatti tuoi, non miei. Se qualcuno ti ha fatto incavolare, se hai fretta, se hai tanto da fare, se hai addosso pressione........è colpa mia?
Ma soprattutto: dopo che mi hai apostrofato malamente, stai meglio? Hai risolto il tuo problema? Non credo.

Perchè la gente ha dimenticato quanto faccia star bene la gentilezza?
Fa star bene te che sei gentile con gli altri e fa star bene chi viene trattato con delicatezza.
Peccato che la gente non se lo ricordi più.

11 giugno, 2013

Rimpatriata sì, rimpatriata no

Nella mia casella di posta si stanno accumulando email di ex colleghi: partendo dall'idea di uno di loro, stanno tentando di organizzare la classica rimpatriata, approfittando del primavera finalmente arrivata, della vicinanza di un sacco di luoghi ameni dove poter mangiare bene, bere meglio e riposarsi sui prati. Prima che le zanzare rendano impossibile tutto ciò.

Non ci giro attorno: non vado.
Non che non mi farebbe piacere vedere gli invitati: per lo più si tratta di persone davvero carine, con cui ho condiviso mesi e mesi di lavoro, ma...lo sapevate che ci doveva essere un MA.
Un MA grosso come una casa.

Queste seppur splendide persone sono la rappresentazione vivente della parabola discendente che ha caratterizzato gli ultimi periodi in cui ho lavorato per la Multinazionale. Quasi tutti loro erano arrivati in azienda dopo di me, quando ormai il mio entusiasmo giaceva sfinito sotto la moquette, quando il mio primo (e unico in un certo senso, ahimè) capo se n'era andato lasciandomi in una valle di lacrime, quando le mie aspettative si erano infrante come baccarat nelle mani di mia madre, quando il mio futuro lavorativo ormai, aveva il colore dell'asfalto bagnato.

Mi spiace, ma con la morte nel cuore dico che queste persone mi ricordano quella fase, quella in cui non accettavo, ma ormai sapevo benissimo come sarebbe andata a finire, quella fase in cui le ho provate tutte, prima e dopo la panza e la figlia, ma in fondo allo stomaco sapevo che nulla sarebbe servito.

In quella fase, forse mi sono sentita peggio di quando poi è concretamente finito il calvario, fine che è poi arrivata quasi come una liberazione.

Quindi non ce la faccio, a sentire aneddoti, raccontare episodi, ricordare eventi, persone e roba varia. Perchè per quasi tutti loro si tratta di momenti belli, divertenti. Per me sono ferite su cui si butta il sale.

Mi spiace perchè - ripeto - alcuni di loro sono brave persone e mi sento che sto facendo loro un torto, ma so quali sarebbero le nefaste conseguenze sulla mia psiche traballante.
Voglio bene a loro, ma devo volerne un pochino anche alla sottoscritta.

Poi, all'atto pratico, non mollo a casa marito e figlia per un pranzo in campagna con gli ex colleghi. Non ora.
Mi spiace davvero.
Ma non ce la faccio.

Ma a voi piacciono, le rimpatriate?

PS. vedete, ricollegandomi al post "Lavoro quindi sono", vedete che tutt'ora non l'ho mica superata del tutto...

10 giugno, 2013

Reinventarsi piano piano - Proseguendo dal post precedente

Dedico tempo al blog mentre sono in ufficio, lo confesso: per quel che faccio e quel che mi danno, ad essere onesta non mi faccio remore, preferisco rosicchiare tempo ad una professione senza valore aggiunto, che ai pochi minuti che passo con la mia famiglia.

Sto facendo pace, comunque, piano piano, con questa mia nuova condizione lavorativa a km zero. Già, il lusso sfernato di poter venire in ufficio in bici si paga profumatamente a colpi di monotonia, noiosità, bassissimo valore, scarsa considerazione (da parte degli altri, anche) e via dicedo, ma io con tutto ciò, sto facendo pace.

Prima cosa, come detto sopra, non mi angoscio più di tanto nel prendermi del buon tempo per leggere di voi e raccontare di me. Seconda cosa, cerco di riorganizzare le mie giornate trovando il valore altrove. Piccole cose, piccoli gesti, grandi boccate di ossigeno.

Slow breakfast.
Ovvero quello che ti puoi concedere solo se raggiungi il posto di lavoro in meno di 15 minuti. E io me lo concedo proprio alla grande. Latte, cereali caffè. Oppure pane tostato, marmellata e caffè.
Basta che ci sia il caffè ;-)

La passeggiata con l'amica-excollega1.
Lei vive una situazione indentica alla mia. Quindi ci siamo date la piacevole regola di vederci almeno una volta alla settimana in pausa pranzo per una passeggiata sui viali (qui si dice fare "il giro dei viali"). Camminiamo, sfoghiamo frustrazioni, confrontiamo esperienze, ci facciamo coraggio, ci raccontiamo dei figli. E via, a pieni polmoni.

Il pranzo con l'amica-excollega2.
Lei che ha diviso con me un incubo lavorativo, ha poi condiviso il magico momento dell'attesa dei nostri pupi e poi quello meno magico del ricovero e del parto (ma ora non ne parlo). Sta di fatto che queste condivisioni hanno cementato qualcosa tra noi, che nonostante le possibili diversità, ci porta a capirci spesso, volentieri. Quasi sempre. Ora non vogliamo rinunciare ai nostri incontri settimanali, anche se un po' più risicati di prima.

La spesa con la mamma.
Uscendo alle 18, posso fiondarmi al supermercato con mia mamma ed evitare così che l'incombenza settimanale ricada nel sospirato sabato. Non perdo occasione di dare lezioni a mia madre di brava-mamma-con-stipendio-da-fame, cioè pillole di saggezza risparmiatrice ad una donna che aveva la mia età nel 1985 (leggi, ha le mani un po' bucate).

La bicicletta per andare e tornare dal lavoro.
Eh sì, perchè quando non piove è il mio unico mezzo di trasporto (quando piove sono i piedi). Faccio un giro un po' più lungo, guardo il cielo senza schiantarmi, respiro il profumo dei tigli e penso "in questo momento brucio grassi e non inquino".

Insomma, sono solo alcune delle tante piccole cose con cui ora non vi voglio annoiare, ovvio che nella lista proliferano le attività che riguardano la Ballerina.
Magari raccontatemi le vostre, perchè potrei aggiungerle al mio elenco.

Perchè se il valore non si trova al lavoro, non vedo perchè non lo si debba trovare fuori.

07 giugno, 2013

Lavoro quindi sono.

Oggi ho letto un articolo interessante in cui si ragionava sulle motivazioni di questi strazianti suicidi per la perdita del lavoro.

Fermo restando che io grazie al cielo non so cosa voglia dire rendersi conto di non poter dar da mangiare ai propri figli, nel mio piccolo ho vissuto male, troppo male la perdita del posto di lavoro.

Se nel mio caso non era tanto un problema economico, perchè tanta fatica ad accettarlo? Perchè tanti mesi per curarsi, perchè non è il male, nè la botta, ma putroppo è il livido?

Secondo me si va oltre alla semplice (quando mai?) questione psicologica: oddio mi hanno scaricata/sono inutile/non servo più/faccio schifo.
Queste implicazioni ci sono e sono reali, gravi; io sono stata davvero assalita dal senso di fallimento, dalla sindrome della scarpa vecchia e ci ho impiegato un sacco di tempo per far pace con me stessa per non essere stata in grado di evitare quell'epilogo, ma il problema va un pochino oltre. Va oltre quello che è successo tra me, minuscola Davidina, e la multinazionale, la Golia Maxi.

Ho provato a pensarci.
Il problema sta nel fatto che al giorno d'oggi, nella nostra società, se non lavori, quasi non esisti.
 
Il lavoro ha assorbito pian piano sempre più tempo nelle nostre giornate: chi di noi può permettersi un semplice ed obsoleto orario d'ufficio 9-18 senza sforare mai? Chi di noi lavora senza sobbarcarsi ore di spostamenti? Chi di noi non ha mai pranzato al volo con un panino davanti al pc?
Il lavoro ha cambiato faccia: è diventato una continua lotta. Proliferano i lavori "per obiettivi", i target si alzano anno dopo anno, anche in tempo di recessione e le aspettative dei capi sono sempre più alte, anche a fronte di una congiuntura economica sull'orlo del disastro.
Questo comporta stipendi calcolati sugli obiettivi di cui sopra, stipendi che senza risultati sono da fame, quasi mortificanti. E il circolo riparte, il volano si alimenta: si lavora tanto, si lavora di più, per poter raggiungere gli obiettivi e guadagnare decentemente.
La vita diventa lavoro. Non si lavora per vivere, ma si vive per lavorare.
Sì, perchè anche alzando un po' il livello, parlando di persone che ricorprono ruoli di responsabilità, la pressione è tale e tanta che certi papà (anche mamme, in alcuni casi) riescono a vedere i figli solo ne weekend, perchè escono troppo presto la mattina e tornano troppo tardi la sera, perchè fanno lunghe trasferte all'estero o in giro per l'Italia, perchè quando finalmente tornano a casa si chiudono nei loro studi a terminare il report, la mail, il forecast, il sadiocosa.
Gli sgabuzzini scoppiano, pieni di hobbies dimenticati, i cassetti sono pieni di sogni impolverati, passioni represse e interessi accantonati perchè non c'è tempo. Ce n'è solo per il lavoro, che ci riempie, ci spreme, ci ingloba in un blob in cui non riusciamo più a distinguerci da lui. Diventiamo il lavoro.

Ed ecco che perdere il lavoro non è solo un problema economico, è un problema di identità: la giornata si svuota, si sgonfia, il tuo posto nella società non c'è più e tu hai l'impressione di essere spersonalizzato, passatemi questo orribile termine. E non è facile ritrovare se stessi, ve lo dico perchè ci sono passata. Anche se si hanno una casa adorabile, un marito meraviglioso e la figlia più dolce al mondo.

Penso che senza essere un economista si possa capire che questa situazione non può durare in eterno. La corda si spezzerà.
Ma nel frattempo, come facciamo per riprenderci le nostre vite?

06 giugno, 2013

Go Live

Come vi avevo preannunciato, la barca è giunta in porto.

Questa è la nuova veste del blog, frutto di sere e sere di lavoro e discussioni con Darcy (qualche volta mi sono addormentata mentre lui smanettava, lo confesso).

Spero che vi piaccia. Volevo che fosse ampio, fresco, senza troppi riquadri che mi davano senso di costrizione. 

L'immagine ritrare un po' me, che cammino sul filo alla ricerca costante di equilibrio, e un po' mia figlia, perchè quella signorina sembra anche un po' una ballerina.

Se non vi piace, abbiate pazienza. Per ora sarà così, perchè riflette come mi sento dentro. Come sempre, al prossimo cambiamento interiore, cambierà anche il blog: ormai è una prassi!

Come possiamo giudicare?

Volevo scrivere ieri di questo evento drammatico, ma era il compleanno della Ballerina e non ce l'ho fatta.
Poi qui Morna e Klarissa hanno dato (benissimo, come meglio non avrei saputo fare) voce ai miei pensieri.

Mi spaventa chi giudica severamente questo disperato papà. Mi spaventa perchè con i ritmi e le pressioni che la vita ci impone, che la società ci costringe a reggere, non posso fare a meno invece di considerarlo anche un po' vittima. Insomma, c'è una profonda differenza da chi getta il proprio bambino appena nato nel water o in un cassonetto: in questi casi sì, mi sento di condannare un comportamento disumano che non considera delle concrete alternative, fosse anche solo l'abbandono in un ospedale.
Qui stiamo parlando di un uomo che ha creduto di fare qualcosa, che era sicuramente preso da altri pensieri, la ruotine l'ha ingannato e tradito. Adesso ho appena letto, è ancora sedato e controllato a vista. Ma cosa succederà al suo risveglio? Come potrà continuare a vivere? Quanto tempo ci vorrà perchè possa accettare (perdonare dubito) ciò che ha fatto?
Ma chi di noi non teme che qualcosa di simile possa capitare anche a noi?

I genitori del padrino di mia figlia, persone che per me sono gli zii che non ho, tanti anni fa, dimenticarono il figlio in un negozio. Era sul passeggino, tranquillo. Uscirono dal negozio chiacchierando e per alcuni minuti nessuno dei due notò che nessuno dei due, appunto, aveva con sè il passeggino con il figlio. Resisi conto dell'accaduto sono corsi indietro al negozio e hanno trovato il bambino, che allora aveva circa 3 anni, chicchierare col negoziante, che l'aveva seduto sul bancone aspettando che i genitori tornassero. Un bel sospiro di sollievo, una risata, un filo tagliente di spavento. Ma nulla più.
Nonostante questo episodio, non mi sono mai sognata di pensare che queste due persone fossero cattivi genitori e vi garantisco che è proprio il contrario.
Capite che è un attimo?

Altro che giudicare. Dobbiamo imparare a vivere con più attenzione, meno presi dalla routine dei nostri gesti e meno in preda all'ansia che ci provocano impegni e lavoro. Ricordandoci e scandendo ogni gesto, soprattutto se riguarda i nostri figli.

05 giugno, 2013

Buon compleanno Ballerina

Due anni fa a quest'ora ero in pieno travaglio, odiavo tutto il mondo, ma soprattutto la primaria di Ostetricia e Ginecologia che non ha previsto nel protocollo ospedaliero l'epidurale per il parto naturale. Poi un giorno mi dirai, cara primaria, cosa c'è stato di naturale nel mio parto, ma adesso sorvoliamo.
Due anni fa slogavo una mano a mio marito a furia di stringerla in preda al dolore.
Due anni fa consumavo le riserve idriche della città nella calda doccia dell'ospedale, tentando di alleviare suddetto dolore.
Due anni fa mio marito subiva un bagno turco involontario, suo malgrado, standomi accanto in suddetta doccia.
Due anni fa riuscivo, tra una contrazione e l'altra, ad avere fame. Only me, ne sono certa. Che classe.
Due anni fa mandavo via a male parole chiunque mi venisse vicino mentre mi accompagnavano in sala parto.
Due anni fa, fuori imperversava il temporale e dentro non era molto diverso.
Due anni fa sei nata tu, piccolo ranocchietto rosagrigio, con un insensato ciuffo di capelli neri sulla nuca, con la guancina destra vuota, l'occhio sinistro gonfio e il piedino sinistro storto. Tu piccola creatura impertinente: la prima cosa che hai fatto in braccio a tua madre è stata la cacca.
Tu che dopo solo un paio d'ore eri diventata bellissima e perfetta.
La regina urlante del mio cuore, con quel bel caratterino che si percepiva già.
La ranocchietta che giorno dopo giorno ci ha conquistati tutti, fondendo il cervello di genitori e nonni e gettandoli nel più totale rimbambimento d'amore.

E' vero che da quel giorno è cambiato tutto e qui mi fermo, perchè ogni ulteriore parola sarebbe superflua.