29 ottobre, 2013

Musica

Ieri sera ho fatto una cosa che non facevo da boh...dieci anni? Forse.
Sono andata a letto con il mio iPod, sapete, quello vecchio, il primo che era uscito con 30 giga di memoria. Ora è pieno zeppo, ma non posso ancora pensare di sostituirlo, anche perché funziona ancora alla perfezione.
Ho inforcato gli auricolari, sono sprofondata nel cuscino e ho tirato la coperta fino al mento. Ho chiuso gli occhi e ho fatto partire la musica.

Watermark di Enya
Nightswimming dei REM
Lost (acustica) dei Coldplay
What Sarah said dei Death cab for cutie
Someone like you di Van Morrison

Ho pensato che era la cosa meno materna che facessi da non so quanto: con la bambina che dormiva nella sua stanza, con la porta chiusa, io mi stavo isolando e non avrei potuto sentire il suo richiamo. Ogni tanto apro un occhio e guardo i led dell'interfono, perché se la bambina fa rumore, i led si accendono. Problema risolto.

Mi immergo nel mio mondo, un mondo privato, privatissimo, personale, intimo dove non entra proprio nessuno. Lascio che la musica mi lavi le orecchie spazzando via le canzoncine sentite fino a poco prima, quelle che richiede la Ballerina, le voci concitate dell'ufficio, le chiacchiere pesanti come sassi dei nonni, le parole insensate di certe persone, le follie che arrivano dai telegiornali.

Penso che non è come quando mi sparavo il walkman nelle orecchie da ragazzina, al buio nella mia stanza, alla ricerca dell'unico posto in cui mi sentivo adeguata, me stessa, senza giudizi. Non è una fuga, è solo una boccata d'aria. Arrivare sul pelo dell'acqua, mettere fuori la testa e prendere tanto, tanto fiato dopo parecchia apnea.

La musica dalle orecchie arriva in ogni angolo e mi scalda, sento le mani che diventano bollenti e nella testa arrivano pensieri belli: le amiche più care, i luoghi più cari...ritrovo me stessa. La me stessa che ogni tanto si perde nel lavoro, nella mammitudine, nella quotidianità. La me stessa che si dimentica di essere una persona al di là di tutto il resto. Quella musica mi ricorda chi sono.

Non ci vuole tutta la notte, solo una manciata di minuti. Poi posso spegnere l'iPod e prestare di nuovo orecchio all'interfono, che tranquillamente tacerà per tutta la notte. Ho una bambina d'oro, penso, anche per questo, anche semplicemente perché dorme. Mi viene voglia di alzarmi, andare da lei e consumarla di baci, ma naturalmente mi trattengo.

Rifletto su cosa ho ascoltato e trovo un inaspettato e non voluto filo conduttore.
Il pianoforte.

28 ottobre, 2013

Shopping, coscienza e sacchetti persi

"Aaaaaaah no, quest'inverno non mi serve niente, prendo una miseria di stipendio, quindi non compro niente! Solo per la Ballerina, io ho tutto, non mi serve nulla di nuovo!"

Lizzie Bennett, 2 settembre 2013
 
 
 
Ad oggi, 29 ottobre, ho comprato:
 
  • 2 felpe
  • 1 maglia con cappuccio
  • 1 cardigan
  • 1 paio di bikers (in realtà regalati dalla nonna che ormai sta benone)
  • 1 paio di leggins.
 
PERO', ho preparato due grossi sacchi con vecchi (vecchissimi!) capi che non metto più e che darò in parrocchia. Ah la mia coscienza è proprio a posto. Sissì.
 
E poi, sabato, in giro per l'outlet qua vicino, mentre tornavo all'auto, ho trovato per terra un sacchetto. Perso da qualcuno che forse ne aveva troppi per le mani e non si è accorto di averne fatto cadere uno. Ancora chiuso con i punti della pinzatrice. Il logo del negozio non mi dice nulla, non so dove sia. Mi guardo attorno: non c'è nessuno. Che faccio? Me lo tengo dai, che sarà mai, è un sacchettino piccolo.
 
Una maglietta dei Guns'n'Roses della mia taglia....tutta aperta nella schiena.
Quello che mi serviva per assecondare la mia regressione adolescenziale.
 


24 ottobre, 2013

Di sogni, vita e felicità

Stamattina ho letto un commento di Agnes ad un post di Anna e sono partita con le riflessioni: il commento mi ha colpita sul vivo, come se l'avessi scritto io, come se mi fosse stato letto nella mente.

La domanda è: se è vero che al giorno d'oggi la gente tende a non accorgersi delle proprie fortune, ad aspirare ad altro, a un indefinito "sempre di più", dov'è il confine tra una sana ricerca di stimoli e la condanna all'infelicità? E poi, gioire e godere della propria vita, della propria condizione così com'è, può portare alla noia e all'appiattimento, o è la strada per una vita davvero felice ed appagante?

Ci penso e ci ripenso e non arrivo a conclusioni definitive.

Posso supporre che, come in tutte le cose, ci voglia equilibrio.

E' sbagliata l'eterna insoddisfazione, vivere con negatività la sensazione che la propria vita sia incompleta. Bisognerebbe essere capaci di trasformare il senso di questo ipotetico vuoto in energia positiva, in voglia di fare, in determinazione.

E' sbagliato non avere più sogni. I sogni ci tengono in vita, ci animano, ci riempiono gli occhi e la mente, ma forse bisognerebbe imparare a formulare dei sogni possibili, prefissarsi traguardi raggiungibili, obiettivi di fronte ai quali non siamo sconfitti in partenza.

Ma è giusto porsi dei limiti? E' giusto mettere dei paletti anche ai sogni e non volare alto, almeno con la mente? Perché io lo so bene che non avrò mai una villa con giardino a Maida Vale (a meno di vincere al Superenalotto, ma per farlo bisognerebbe almeno giocare, cosa che non faccio), ma che volete che vi dica, non riesco a non sognarla!

E' giusto vivere sempre alla giornata pensando al massimo a cosa fare nel weekend, senza progetti a lungo termine? Non lo so.
I progetti "di vita" ci vogliono, altrimenti ci si sente in parte svuotati, arrivati.

E' sicuramente giusto apprezzare la propria vita, imparare a vederla, a sentirla e ad amarla. Riconoscere le nostre fortune e farne davvero tesoro. Pensare che non tutto ci è dovuto, tanto ce lo siamo sudato, ma tanto altro ci è stato donato e dobbiamo fare onore a questi regali. Ma non so se basta.

Ci vuole una tensione a "qualcos'altro", un'idea, un progetto...seppur piccolo, magari per gli altri insignificante. Forse ci vogliono tanti piccoli obiettivi, da raggiungere giorno dopo giorno, oppure un grande, favoloso progetto che sia il filo conduttore della nostra vita, che le dia senso e che a noi stessi dia forza e determinazione.

Dipende dalle persone, da come uno è fatto, dal carattere, dal pregresso, dalla situazione contingente. Impossibile trovare la formula magica, universale e giusta per tutti.

Avevo voglia di mettere nero su bianco queste parole, per cercare di sbrogliare la matassa e forse anche per capire dove sono io, in tutto questo bel discorso.

L'ho capito? Certo che no!

22 ottobre, 2013

Piccole contentezze

Nonostante il tempo uggioso di questa mattina, oggi mi sono "alzata bene".
Ieri sono riuscita ad andare a letto ad un'ora civile, ho anche letto qualche pagina. Cosa sto leggendo? Bertie plays the Blues di Alexander McCall Smith, autore scozzese che mi piace proprio tanto, soprattutto letto in lingua anche se ci metto il doppio del tempo, lo ammetto.

Sempre ieri sera sono anche riuscita nella ormai difficile impresa di fare un dolce, subito dopo cena, destreggiandomi tra marito, figlia ormai sempre meno interessata a Peppa Pig e la cronica mancanza di tempo.
Un esperimento, torta al cocco con gocce di cioccolato, una torta senza burro, per soddisfare Darcy che ha un cattivo rapporto col proprio colesterolo.
Buona buona, pat pat.

La cosa migliore poi, è che stamattina ho realizzato che la prossima settimana sarà CORTA, venerdì prossimo è il 1 novembre, il che significa un po' di cose.
Primo, non si lavora e già questo basterebbe per sorridere.
Secondo, la messa al cimitero del paesello di Darcy, usanza a cui lui tiene particolarmente e a cui io mi sono adattata e anche un po' affezionata.

Digressione: dovete sapere che io ho un pessimo rapporto con i cimiteri. Attirandomi le ire di mia nonna (non quella che è caduta la scorsa settimana, l'altra, che è più giovane, ha 88 anni...) quando era ancora lucida, perché "non vai mai a trovare tuo nonno", io al cimitero non ci vado, se non per i funerali a cui non posso mancare. Ho questa tendenza a preferire ricordarmi le persone da vive, una sorta di rifiuto che vedere una foto sul marmo spazzerebbe via ponendomi di fronte alla realtà dei fatti. Realtà dei fatti che rifuggo, finchè posso: mio nonno G. è a casa sul divano che fa il Bartezzaghi e mio nonno L. è al bar con gli amici che gioca a carte. Ecco.

Torniamo al weekend lungo.

Dopo questa messa partiremo per la montagna.
Due giorni pieni di buon cibo, buoni amici, buona aria e i meravigliosi colori autunnali della valle. Macchina fotografica al seguito.

Oh yes, oggi sono proprio contenta.

21 ottobre, 2013

Correva l'anno 2003

E' il 21 ottobre del 2003. Dieci anni fa.

Lizzie ha sfoderato i suoi pantaloni più belli, una camicia bianca e un cardigan di cotone nero con la zip. Effetto "formale ma non troppo".
Buffo come di quell'outfit, come si dice adesso, oggi non abbia più nulla. Tutto rovinato, consumato, sformato. Strausato.

Entra in ufficio per la seconda volta, la prima era stata la settimana precedente, per il colloquio, l'ultimo dei tre.

E' spaesata, anche se il pensiero che tra i colleghi vedrà un paio di facce amiche la conforta un po'.

Il pensiero dell'immensità dell'azienda e della difficoltà di ciò che tratta però, prende il sopravvento e Lizzie si ritrova con le mani fredde e sudaticce.

All'ingresso la accoglie una collega simpatica che per prima cosa le consegna un badge provvisorio, da tenere rigorosamente al collo (E' fondamentale per poter rientrare nell'open space quando si esce per andare in bagno, le spiega) e le indica la saletta break; dall'interno, un ragazzo alto e moro la vede attraverso le pareti di vetro ed esce a salutarla dicendo: "Ciao, tu sei Elizabeth, si ti stavamo aspettando, tu vieni dalle banche, vero? Io sono Carlo, adesso il tuo capo non c'è ancora comunque vieni che ti faccio vedere la tua scrivania, credo di sapere qual è, così appoggi la tua roba", dice indicando la sua borsa.
Lizzie si domanda che cavolo di importanza abbia il fatto di aver lavorato in banca in precedenza, non lo sa ancora, ma lo scoprirà prima di quanto creda.

Attraverso un corridoio, si accede all'open space.
Buon Dio.
Tanta luce.
Tante scrivanie.
Tanti squilli.
Tante voci.
Tante facce.
Pochi anni.
Sono tutti giovani, tutti dell'età di Lizzie, più o meno. E ci sono pure le piante. Vere, vive, non di plastica.

Lizzie capisce al volo di non essere capitata nel tipico ufficio italiano.
Questi ragazzi parlano inglese, vengono da tutt'Italia e hanno già vissuto all'estero.
Il clima è giocoso, sereno. C'è professionalità, modernità, spazio all'iniziativa. A Lizzie non sembra vero.

Arriva il capo. Pertuttiidiavolidell'Inferno, assomiglia a Jovanotti. E' serio, dall'aria intelligente e allo stesso tempo infonde calma e ispira simpatia, fin dall'accento. Le mani di Lizzie si riscaldano e si asciugano, pian piano.

Lizzie si accomoda alla sua nuova scrivania, che qui chiamano desk. Ha una grande sedia imbottita blu regolabile, la  scrivania è gigantesca, di legno chiaro, ha un armadietto, un portapenne, un portacarte, matite, biro, evidenziatori, blocchi per appunti, post-it, un pc e due telefoni.....le gira la testa. La scrivania è in un angolo dell'open space, con doppia vista finestrata che manco Paola Marella.

Il capo-Jovanotti le fa fare un giretto di presentazioni e lei, tra i tanti, ricorda solo i quattro nomi di chi conosce già: Simone, Michela, Elisabetta, Luca. Tutti gli altri sono un calderone di gente con strani cognomi, gente già meravigliosa in partenza: Lizzie li ama già tutti, perché nei loro occhi non vede diffidenza o distacco, ma gentilezza, accoglienza, apertura e voglia di conoscersi. Anche se lo è, Lizzie non si sente - e non si sentirà mai, anche perché non ne ha avuto oggettivamente il tempo - l'ultima arrivata.

La tappa successiva è il caffè: che diamine, sono pur sempre le nove del mattino. In saletta break si fuma ancora, la legge sul divieto deve ancora entrare in vigore. Dentro stanno parlando di cose strane, ma che per Lizzie diventeranno assai famigliari: volano parole grosse come server, cluster, istanza, database, licenza, supporto.
Alla macchinetta c'è una ragazza con un taglio di capelli strafigo. Sorride a Lizzie, un sorriso timido, ma caldo e bellissimo.
"Ciao, io sono Seavessi. Cosa prendi?"
"Caffè grazie", risponde Lizzie cercando la moneta in tasca.
"No lascia, il caffè è gratis", interviene il capo-Jovanotti.

Datemi un pizzicotto, pensa incredula Lizzie, stentando a trattenere una fragorosa, gioiosa risata .

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Questo è il ricordo del mio primo giorno di lavoro alla multinazionale americana. Il mio terzo lavoro, che è durato nove anni.
Le cose come sapete non sono sempre state idilliache, tutt'altro, e oggi riportare a galla quei momenti è particolarmente doloroso, ma a dieci anni da quel giorno comunque fatidico, mi piace rievocare quella fetta di vita con questo ricordo, con il primo giorno, con tutta la magia e la felicità che portava con sé.

18 ottobre, 2013

Tutto il contrario


Un giorno di qualche anno fa. Si parlava di stipendi.

Collega S. - Si, si abbiamo un buon stipendio, per carità, ma io mi rendo conto che ora spendo molto meno di quando spendessi quando ero all'università!
Lizzie - (??) Io proprio il contrario: allora non guadagnavo soldi miei a parte le due lire ottenute con le ripetizioni, quindi non spendevo proprio per niente. Ora invece ho uno stipendio fisso, sono soldi solo miei e mi sento libera di spenderli come meglio credo.
Collega S. - Perché tu non hai studiato fuori casa.
Lizzie - (??) Cioè?
Collega S. - Studiavi qui vicino, non sei andata via di casa, ERI SEMPRE A CASA COI TUOI.
Lizzie - Beh, ma a maggior ragione! Se i miei avessero dovuto anche pagarmi un affitto, non me la sarei sentita di concedermi dei vizi.
Collega S. - Quasi spazientita - Eh no, per me era diverso. Io studiavo fuori casa e i miei mi vedevano una volta al mese quando andava bene. Anche se mi pagavano affitto e rate, tutte le volte che venivano a trovarmi mi davano dei soldi per comprarmi quello che volevo e mi facevano dei regali: cappotti, borse, scarpe, maglioni...Sai, era così bello per loro stare con me, visto che non mi vedevano mai! Gli veniva naturale farmi regali.
Lizzie - Sconcertata - Ah, certo....modi diversi di intendere il valore dei soldi.

Non ricordo bene come si concluse quella conversazione.
Ricordo solo che fu SURREALE.

Quello che Collega S. mi diceva, esponendo i fatti come se fossero i più naturali del mondo, mi aveva davvero sconvolta. Mi sembrava il rovesciamento della logica, del buon senso e pure dell'educazione (proprio lei poi, che si autocelebrava madre suprema del bon ton...).
Continuavo a pensare: "Ma è tutto al contrario, tutto al contrario..." e non potevo credere alle mie orecchie. Ero talmente basita che la lingua mi si era incollata al palato e non riuscivo a controbattere.
Come se i miei genitori mi avessero voluto meno bene perché non studiando fuori casa, non sentivano il bisogno di viziarmi. Come se fossi una tapina io, che avevo scelto di non gravare sulle loro spalle con l'affitto di una casa. Come se pagare affitto, retta, spese e VIZI/REGALI fosse il modo giusto per spiegare il valore dei soldi, per insegnare a cavarsela, ma soprattutto, per trasmettere amore.

Ancora oggi, ricordando quella conversazione, mi viene da sorridere.

A mia figlia insegnerò proprio TUTTO il CONTRARIO.

Questo post partecipa al blogstorming di genitoricrescono.


17 ottobre, 2013

Due grazie

Ieri è successo un imprevisto famigliare che mi ha costretta ad uscire dall'ufficio e tornare a casa per stare con la Ballerina, dato che mia madre ha dovuto gestire la situazione non preventivata.
Niente di grave, per fortuna, ma comunque uno spavento: mia nonna è caduta in casa, l'hanno trasportata al pronto soccorso, fatto esami, lastre, ecc. Niente di rotto, niente lesioni. Dimessa dopo pranzo. Ora è a casa con una signora che la assisterà fino a quanto sarà necessario (leggi: fino a quando lei non sarà stufa di averla per casa).
A 93 anni, cadere e non rompersi niente, è un miracolo.
Primo grazie della giornata.

Alle 9.30 ero già a casa, la Ballerina aveva già fatto colazione, ma era ancora impigiamata sul divano che giocava coi peluche.
Lavata, cambiata e vestita, siamo uscite rigorosamente senza passeggino. Tappa obbligata al parco giochi con permanenza quasi infinita sull'altalena. Ma va bene così: vedere quel visetto tondo sorridere pieno di gioia mi ha fatto dimenticare i collant che dovevo comprare.
Poi c'era rimasto il tempo solo per passare in panetteria. Non eravamo ancora entrate che la piccola ordinava: "Focaccia con le olive". Bene, ha mangiato le olive avanzando la focaccia, per mia pura felicità.
Una volta a casa, mentre io cucinavo, lei ha trafficato con i suoi mattoncini, ha raccontato favole e letto libri ai peluche. Abbiamo pranzato insieme guardando una serie di appassionanti episodi di Peppa Pig, dopo pranzo abbiamo steso il bucato e poi ci siamo fiondate sul lettone per il pisolino. Alle 14.24 la guardavo dormire, spiaggiata come un leone marino sul bagnasciuga, circondata dalle sue Hello Kitty e ho pensato che sarei potuta restare a guardarla per ore. Ma non potevo.
Sono tornata in soggiorno, ho sistemato i giochi e i libri rimasti in giro e poi ho sbrigato qualche altra faccenda.
Alle 16.30 la piccola si è svegliata, ha alzato la testa arruffata e mi ha detto biascicando: "Giocare". Bene, sempre più perentoria.
Dopo un'ora eravamo pronte per la seconda passeggiata del giorno, questa volta con passeggino.

Siamo andate in centro, abbiamo esplorato negozi, visto vetrine, salutato amici, ci siamo dette e raccontate tante cose.
Siamo tornate a casa per le 19, giusto il tempo di cambiarci, sistemarci e iniziare a preparare la cena aspettando il papà che tornava da Roma.
Che bella, inaspettata, magica giornata: io e la mia bambina che sta diventando grande.
Secondo grazie della giornata.

14 ottobre, 2013

Welcome to the jungle

Ho sempre sostenuto che chi più forte parla, meno ha da dire.

Ho sempre combattuto contro il turpiloquio (anche se a volte qualche "sano" vaffa, ci sta) come prassi quotidiana.

Ho discusso per anni sull'inutilità dell'essere aggressivi.

Sul fatto che l'arroganza sia controproducente.

Sono sempre stata convinta che la gentilezza, sia la strada giusta.

Ho sempre fatto del mio meglio per essere gentile anche con chi con me non lo era, convinta che fosse la cosa giusta da fare (con una punta di snobismo, se vogliamo).

Eppure ancora oggi, ho avuto la prova che ben poca gente la pensa come me.

La settimana scorsa mi sono scontrata un paio di volte col capo. I nostri scontri sono praticamente dei suoi monologhi (lui lascia ben poco margine per controbattere) e le sue parole, arroganti e ruvide, mi riempiono come l'acqua riempie un vaso.
Sono quasi piena e non so cosa capiterà quando arriverà la famigerata "ultima goccia".
Vedremo.
In passato è già successo e so che, ahimè, finisce che vomito tutto senza filtri e chi ne paga le spese poi sono io.
Sono fatta così, purtroppo.

Stamattina di nuovo: mi accusa di essere arrendevole, coi colleghi e coi clienti (??? qui ci sarebbe da parlarne per ore, ma lungi da me volervi tediare). Solo perché non voglio essere eccessivamente spaccaballe, solo perché non voglio essere considerata una piattola, perché ritengo che le cose dette una, due, tre, quattro volte...poi amen, io non insisto più.

Alla fine di tutto il suo impianto accusatorio e di fronte alle mie pacate, ma decise proteste mi dice:

"E' così. E' così che si lavora. Dappertutto. Sul lavoro vince chi urla più forte".

Ok, magari da stasera ci rifletto un po' bene, su sta cosa.

Ma mi rifiuto di pensare che abbia ragione.
Mi ri-fiu-to!

10 ottobre, 2013

What's music got to do with it?

Le cantanti pop di oggi fanno pornografia.
Con qualche giro di parole in più, è quello che in soldoni ha recentemente dichiarato Annie Lennox, cantante scozzese di cui non devo certo raccontarvi niente.

Sul subito ho pensato: "Oh ma che esagerata, non starà mica diventando invidiosa dei giovani visetti e delle gambe sode delle varie cantantucce stile Katy Perry?!".

Poi ho riflettuto. Non sapevo nemmeno di cosa stessi parlando, quindi mi sono informata un pochino, youtube santo subito.

Premetto che io non sono una bigotta, come potrei? Quando iniziavo ad avvicinarmi alla musica moderna, una certa signora Ciccone cantava "Like a virgin touched for the very first time" ammiccando per tutta Venezia insieme con un leone.

Poi, dieci anni dopo, sono uscita indenne dal girl power, sopravvivendo senza grossi traumi alle (S)pice* Girls e a tutte le loro (per fortuna poche) imitatrici. 

Successivamente ho anche superato le "lolite del pop", capostipite quella Britney che, appena uscita dai programmi Disney, cantava con la divisa del liceo "Hit me baby one more time", certamente senza doppi sensi...

Insomma, ne ho viste ed ahimè, sentite tante. 

Ma adesso abbiamo sfondato il muro del buon gusto.

Pensavo che un'ugola d'oro buttata nel wc (a suon di sculettate su motivi insulsi) come quella di Christina Aguilera, fosse il segnale estremo di un mercato che VUOLE produrre spazzatura, anche quando potrebbe ambire a qualcosa meglio.

Ma oggi ho scoperto tutta una nuova (o seminuova, non lo so) generazione di baby zoccolette che mi ha raggelato: gestualità inequivocabili, atti sessuali mimati esplicitamente, chiappe al vento, metri di lingua esposta a sproposito. Il tutto accompagnato da musica che non oso quasi definire tale e voci da topo gigio (che mi scuserà).

Tutto ciò per dire che: io forse sono diventata una vecchia criticona (eeehh si, era più bella la musica dei miei tempi!), ma forse un po' di ragione ce l'ha pure la signora Lennox. 



*Chiedo scusa, battutina comprensibile solo alle piemontesi, credo.

09 ottobre, 2013

Giro di boa

HELP!
Passi da me dopo? Grazie, M.
 

Durante i miei 10 anni di vita lavorativa, per il 99% del tempo mi sono occupata di software. Quindi ne saprai un casino, direte voi. E invece no.

Primo perché SE mai ne sapevo un casino, ne sapevo di ciò che commercializzava la multinazionale e secondo, comunque, io non ho un profilo tecnico e non ho mai ricoperto un ruolo tecnico.
Quindi sì, ho dimestichezza col linguaggio e capisco e parlo correntemente il nerdese (anche perché, vi ricordo, ne ho uno in casa), ma da lì ad essere una che "se ne intende", ce ne passa.

Da poco più di 6 mesi poi, il mio concetto di "software", già di per sé etereo, volatile, fuffoso e impalpabile come pochi, si è molto allargato, ho scoperto nuovi orizzonti di cui non conoscevo nemmeno l'esistenza.

Ecco il primo motivo per cui qui nella piccola aziendina io di solito mi sento ignorante. Il secondo è che, banalmente, io sono l'unica a non avere il benedetto profilo tecnico, tutti i miei 17 colleghi sono smanettoni pestacodice che vivono di zeri e di uno.

Quindi oggi per me, tornare in ufficio dalla pausa pranzo e trovare quel post-it, è stato come fare un giro di boa. E' stato come dire, Vedi Lizzie anche tu sai fare qualcosa. E' stato come quando, 10 anni fa, un collega più "anziano" della multinazionale mi ha chiamata al telefono e mi ha detto: "Scusa, ti metto in conf perché ho una banca al telefono e io non ci capisco gran che". E sapessi io, avrei voluto rispondere, ma non ne ho avuto il tempo.

Questo post-it è come quella telefonata. La prima richiesta da parte di un collega, la prima possibilità concreta di rendermi utile, il primo compito che non sia ordinato dal capo.
La prima volta in cui, anche qui, mi sono sentita parte di qualcosa, mi sono sentita integrata (scusatemi, usare questo termine fa orrore, lo so).

Gli inizi sono stati assai diversi da quelli nella multinazionale, dove al contrario, quando sono arrivata, avevo la strana sensazione che tutti pensassero che io sapessi fare chissà cosa.

Qui è stato l'esatto opposto. Qui avevo 10 anni più e un cervello meno elastico, avevo più ferite da leccare e botte da assorbire.

Ecco perché oggi è ancor più importante di allora.

Stasera si pasteggia a spumante.

07 ottobre, 2013

LA foto

Era il 4 ottobre del 2008 e questa sono io, sommersa di riso.
Ci ho pensato e infine, eccomi!


06 ottobre, 2013

Scherzetto!

Immaginiamo che ci sia una donna che, dopo mesi di titubanza, abbia finalmente deciso insieme al marito di allargare la famiglia e cercare il secondo figlio. Immaginiamo che la donna sia un po' agitata, perchè avere il primo figlio non era stata una passeggiata, ma un percorso in salita lungo e pieno di insidie.

I due smettono di prendere precauzioni e danno il via alle danze.

Lei normalmente è precisa come un orologio svizzero fresco di revisione. Non sgarra mai, MAI, nel senso che al di là delle sua precedente gravidanza, ha avuto un solo ritardo in vita sua, poco più che adolescente. E infatti se lo ricorda ancora, in quanto evento unico.

Et voilà il secondo ritardo della sua vita.

Un giorno, due giorni, tre giorni, quattro giorni, cinque giorni.

Lei non ci può credere, lui invece sorride felice con l'espressione di uno che pensa "Vedi, te lo dicevo di non preoccuparti".

Fanno il test.

Negativo. Ne-ga-ti-vo.

Eppure quel ritardo c'è...ma il test è proprio negativo, non ci piove.

Aspettano ancora un po'.

Lei è convinta di avere solo il secondo inspiegabile ritardo della sua vita, lui invece nutre concrete speranze, nonostante quello stupido test.

E poi la speranza, almeno per questo giro, svanisce di fronte all'evidenza: era solo un inspiegabile, anomalo, crudele ritardo. Che tempismo sto ritardo!, ironizza lei nella sua testa....Memore dell'anno intero trascorso prima di trovare la prima figlia.

Poi lei sente una sua amica e insieme decidono di fare due passi insieme, in pausa pranzo. Una passeggiata e una chiacchiera non possono che farmi bene, pensa lei.

L'amica è incinta, di oltre tre mesi.

Certo che la vita a volte, ci fa proprio strani scherzetti.

PS: non avendo mai avuto ritardi, questo era il secondo test che faceva in vita sua, il primo negativo. Che sensazione orribile  vedere quella righetta solitaria e cercare qualcosa che non c'è.

04 ottobre, 2013

Tu, tu che sei diverso

Sono seduta a questa scrivania troppo alta, in questo ufficetto troppo freddo

il tempo sembra essere arrabbiato e da giorni non si vede un raggio di sole.

Cinque anni fa invece il sole splendeva, limpido e caldo,

indossavo il mio insolito vestito e dimenticavo a casa il bouquet.

Ebbene sì, ma son tornata a prenderlo, causando il classico ritardo della sposa.

Come mi sembravi a disagio, al centro dell'attenzione,

tu che di solito invece sei timido e schivo.



Cinque anni.
Tanti tasselli sono al loro posto.
Tanti ancora sparsi in giro, il puzzle è ancora lungo.

Il desiderio di tornare a casa, di tornare da te, di raggomitolarmi accanto a te, perché solo tu sai ascoltarmi, prendere le mie parole e sistemarle, dar loro un senso e restituirmele.  Quello non è mai cambiato.

Anche se a volte sei chiuso come una fortezza.
anche se a volte hai il senso pratico di una quaglia appena sveglia
anche se a volte pretendi troppo, da te stesso e dagli altri.

Guardo il sorriso della nostra bambina e poi guardo i tuoi occhi e penso che basta ancora, come allora, solo un attimo perché mi ci perda dentro.

03 ottobre, 2013

Desideri e volontà

Amore mio,

vorrei darti tutto ciò che produca il sorriso sul tuo bel faccino tondo
giocare con te il più possibile
accompagnarti al parco giochi che tanto ami
correre insieme
portarti al mare non appena si presenta l'occasione
regalarti i giochi che ti piacciono di più
leggerti un sacco di favole, prima della nanna, ma anche durante il giorno
fare insieme a te ciò che più ti piace. Ciò che piace A TE.

Vorrei che non ti sentissi mai sola
che non pensassi mai "Oh meno male che arrivano i nonni, così qualcuno finalmente giocherà con me"
che non ti sentissi mai in secondo piano
che non ti sentissi mai inascoltata, trasparente
che non pensassi che la tua idea non conti
che non pensassi mai che io sottovaluti i tuoi problemi, o che non li consideri del tutto
e che sapessi che sono sempre dalla tua parte.

Vorrei poter passare più tempo con te
essere certa di aver scelto correttamente, tornando ugualmente a lavorare
avere la certezza che tu non stia patendo
e regalarti un futuro pieno di persone che ti vogliono bene.


Voglio partire da ciò che è mancato a me, per darlo a te.