25 febbraio, 2014

Non tutto il male...

Quello che mi è successo è doloroso, invalidante e fastidioso. In sintesi, una gran rottura di palle.

Da quando ho cominciato a manifestare i primi dolori alla gamba, ai primi di dicembre, la situazione è sensibilmente peggiorata. Gli antidolorifici non mi fanno quasi più effetto, le ore di sonno si assottigliano sempre di più, alzarmi, raddrizzare la schiena, muovere la testa, sono tutte operazioni potenzialmente dolorosissime che richiedono quindi un'attenzione che non sono abituata a dedicar loro. A volte mi dimentico. E poi urlo, urlo disperata, spezzata in due da un male che non vi so descrivere.

Eppure, datemi della pazza, non riesco a vedere tutto questo come un evento completamente negativo.

Per prima cosa, mi ha imposto una pausa che sicuramente non mi sarei mai presa. Una pausa di cui il mio fisico aveva bisogno.
Erano mesi, in realtà, che la mia schiena mi mandava chiari segnali preoccupanti, ma che io ignoravo. Per esempio a luglio, sono rimasta bloccata per ben due volte, tipo colpo della strega. Ho ingoiato antidolorifici, applicato qualche cerotto e via, come se niente fosse.
Poi quella dannata sedia, in ufficio, che mi costringeva ad assumere una postura scomoda ed innaturale per le otto ore di lavoro: un disastro per il collo e le spalle, tanto che ancora domani, andrò dal fisioterapista.

Se non fosse intervenuta l'ernia, ora io sarei ancora piantata su quella sedia a fare a pezzi collo e schiena.

In seconda battuta, mi prendo questa pausa anche a livello mentale. La vedo come una possibilità di ripartire.
Ok, adesso devo pensare alla salute, a rimettermi in sesto, ma dopo, quando starò bene, mi sarò lasciata alle spalle tutta una serie di esperienze che ora voglio solo archiviare e ritirare in un cassetto.
Quando starò bene, potrò finalmente ricominciare.
Mi sembra di avere di nuovo un'occasione d'oro, mi sento incredibilmente fortunata perchè, di nuovo, avrò la possibilità di reinventarmi, di capire cosa voglio, cosa preferisco, cosa cercare, su cosa focalizzarmi.

Questa opportunità mi era già stata offerta una volta ed io, in preda alla paura restare disoccupata, l'ho sprecata gettandomi a capofitto in una ricerca senza logica e senza filtri.
Ma dagli errori si impara, la prossima volta non andrà così. Starò più attenta alle mie esigenze, ascolterò le mie inclinazioni, terrò presente i bisogni della mia famiglia e per una volta, anche i miei.


Questa situazione mi sta dando del filo da torcere, ma tutto sommato, credo che ne varrà la pena.
Oggi il sole splende e ci sta regalando un cielo molto, molto azzurro.

Oggi ho l'impressione di poter fare qualsiasi cosa.

21 febbraio, 2014

La Lizzie Musicale

Ve l'avevo detto: sono fatte di carne, sangue, caffè e rock inglese (ma la mia canzone preferita è americana).

Oggi nella blogsfera esordisce una Lizzie un po' particolare, perchè quella normale è stufa di scrivere soltanto dei suoi malanni e di ammorbarvi con le sue paturnie quotidiane (ma non temete, credo proprio che le mirabolanti avventure della mia schiena non vi abbandoneranno...)

La Lizzie che ancora non conoscete (e forse era un bene!) è quella con la passione musicale, quella che la fa vivere il 50% del suo tempo libero con gli auricolari nelle orecchie (l'altro 50% sta con gli occhi piantati sul kindle), quella che dopo aver provato a suonare, ha capito che quello che davvero la ispirava era ASCOLTARE, quella che è cresciuta con Beethoven, Battisti, Deep Purple e Pink Floyd che le facevano compagnia in tutta la casa (grazie al suo papà), quella che quando le sue coetanee ascoltavano Madonna, comprava lo spartito di Michelle, quella che quando le coetanee sono passate ai Take That, stirava ascoltando Starway to Heaven e registrava abusivamente dalla radio One.
Un'emarginata musicale, in sostanza.
L'avreste mai detto?

Magari questo argomento vi annoierà a morte, magari non sarete mai d'accordo con me (di questo sarei già contenta, vorrebbe dire che abbiamo qualcosa di cui discutere insieme!), magari non vi interesserà per niente, chissà.

Ecco perchè ho deciso di aprire uno spazio separato, uno spazio nuovo che in comune con questo avrà solo la mente malata all'origine dei post.

Non so quanto durerà, non so se sarò costante come con questo blog, ma in questo momento di inattività fisica, sento che la mia mente ha bisogno di questo stimolo, di raccontarvi passioni, emozioni, opinioni e chissà cos'altro su questo aspetto così positivamente ingombrante della mia vita.


19 febbraio, 2014

Non vi ho mai parlato del dolore

In tutta questa storia della discopatia, dell'ernia e dell'operazione, sto riscontrando incredulità e diffidenza da parte della gente.

Ma come? Devi farti operare? Ma guarda che l'ernia del disco non la operano più!
L'operazione? No, lascia perdere, l'ha fatta mia cugina e adesso se ne pente.
Devi operarti? Ma va, sei matta, io ho risolto tutto con il karate/pilates/riflessologia/fisioterapia

Ma come l'operazione? E' una vita che non sento di qualcuno che si opera per l'ernia del disco!
Come ti operano? Strano, di solito per l'ernia operano solo chi è totalmente infermo.

Ma davvero la situazione è così seria? Addirittura l'operazione! Non c'è un'altra soluzione?

Non vi ho mai parlato del dolore che ho addosso.
Del male che provo dal gluteo destro, che scende fin dietro il ginocchio e come una scossa arriva fino al tallone. E' un dolore costante, che si acuisce quando muovo la testa, quando mi siedo, quando mi alzo, quando raddrizzo la schiena, quando mi giro nel letto quando mi muovo in fretta. E' un dolore che toglie il respiro, che sento dalla punta del piedi alla punta dei capelli. A questo si deve aggiungere una perenne sensazione di formicolio alla gamba e  una forte pesantezza alla schiena, su tutta la fascia lombare.

Capisco di non essere moribonda, ma se delle persone competenti in materia mi hanno consigliato una certa strada, scusate, ma io la seguirò.

Non vi ho mai parlato del dolore, ma forse dovrei cominciare a farlo, anche se non è mia abitudine andare in giro a sbandierare i miei malanni dettagliatamente.

Eppure quello che fa ancor più male, più che il dolore fisico che di per sè è tosto, è percepire tra le parole non dette, tra i commenti e i falsi consigli, tra gli sguardi e l'incredulità, un vago senso di rimprovero, un giudicare, un tirare sentenze.
Eh sì, perchè è questo che sento ogni volta, come a volermi dire: sei la solita catastrofica, che piagnisteo, addirittura l'operazione, che esagerata e poi stai pure a casa dal lavoro, sfaticata, questo puzza di sfruttamento della situazione, perchè tu non hai voglia di lavorare e nemmeno di fare delle terapie, preferisci piangerti addosso di fronte ad un intervento e aspettare sul divano.

Ecco, non voglio passare per paranoica, ma non sono nemmeno del tutto cieca e certe frasi, anche se non dette, compaiono sulla teste delle persone come le nuvolette dei fumetti.

Non vorrei curarmi di queste cose, ma come ho detto, mi fanno molto più male dell'ernia.

Ora chiuderò fuori tutto questo, penserò solo alla mia salute e guarderò avanti, nella convinzione che da questa disdetta, nascerà qualcosa di buono.

Voi me l'avete detto in tante ed io vi credo.


17 febbraio, 2014

Riposo forzato e rabbia galoppante

Capita che così, dall'oggi al domani, di ritrovarsi a casa, il lunedì mattina. Da sola.
Darcy è partito presto per Milano, la Ballerina è coi nonni e io, sono qui, sul divano: mi è stato ordinato assoluto riposo (stare sdraita, potendo) fino all'intervento, che sarà...boh, spero presto.

La piccola è stata brava: pur capendo che c'era qualcosa di strano (la mamma a casa a quest'ora? e allora perchè devo andare dai nonni?) ha obbedito e, almeno per adesso, ha capito che la mamma per un po' avrà bisogno di tanto aiuto, non potrà prenderla in braccio, fare la lotta, giocare sul pavimento...fare tutte quelle cose che si fanno di solito insieme. Stamattina ha voluto mettere la gonna (evento!) ed è uscita tranquilla. Una donnina.

E io mi ritrovo qui, in questa dimensione parallela, in questo duplice limbo amaro.

Duplice perchè c'è la mia salute in stand-by: il mio "deficit motorio", come l'ha definito l'ultimo medico che mi ha visitata, è sempre più evidente, i dolori vanno di pari passo e il resto lo fanno le ore di sonno, scarse e di pessima qualità.
Aspetto solo di sapere quando mi opereranno. Aspetto solo che squilli il telefono.

Duplice perchè anche il lavoro è il stand-by: come da previsioni, dopo aver spiegato al capo la situazione, il giorno dopo questo Signore mi convoca, ufficialmente per ricevere da parte mia il passaggio di consegne, ufficiosamente per darmi il ben servito. Sapete com'è, il contratto scade il 31/3 e io da oggi sono in malattia fino a chissà quando....per caso pensavate che mi avrebbero tenuta?
No, certo che no.
Non lo pensavate.
E nemmeno io.
Ovvio che non mi hanno detto "Non ti rinnoviamo il contratto perchè hai l'ernia del disco e chissà quando rientri", ma le motivazioni portate, sebbene non totalmente folli, fanno un po' acqua. In ogni caso, la legge Fornero dà tutti i diritti all'azienda e zero a me, quindi il tutto non fa una piega.

Per riassumere, fino al 31/3 sono in malattia, ma ancora impiegata in azienda; dal 1 aprile, sarò ufficialmente disoccupata.

Va bene. Non era il lavoro della mia vita, l'ho detto tante volte. Mi sono accontentata, come ho fatto tante altre volte il passato.

Già.
In vita mia (dopo la laurea, giusto per ricordarlo, perchè durante ho sempre dato ripetizioni per arrotondare), ho fatto la pendolare, ho fatto stage non retribuiti, ho accettato lavori che non piacevano, ho fatto levatacce, ho macinato chilometri, subito ingiustizie, imparato 5 lavori, ho speso un sacco di soldi in spese di trasporto, ho mandato giù bocconi amari, ho passato ore e ore al pc sui portali di head hunters e agenzie di lavoro temporaneo, ho preso porte in faccia, ho spedito centinaia di cv spesso e volentieri senza nemmeno ricevere una risposta....ma guarda un po', dal dicembre del 2002 non ero mai stata a casa da lavorare.

Capito, John Elkann??

Ora, per favore non fatemi dire cosa penso di questo bellimbusto con la faccia da bambino, perchè mi manca solo una querela!

No, va beh, una cosa la dico, non ce la faccio:

siamo ancora sicuri che tra i due il meno furbo sia Lapo??

13 febbraio, 2014

Ricchi premi e cotillons

In questi giorni di scompiglio, di tachipirine, lavoro saltabeccante, trasferte torinesi, dolori acuti, sensi di colpa e sonno violento, ho ricevuto ben due premi. Ragazze, inutile dire che sono commossa!
Per prima cosa un doveroso ringraziamento alle amiche blogger che mi hanno assegnato i premi:
Pamela di Una mela verde lime e Mammavvocato
Nel dettaglio i premi sono

(che in realtà, diverso tempo fa avevo già ricevuto: si sa, questi bellissimi award girano, girano, girano e a volte, tornano!)
e


che invece ricevo per la prima volta, con tanto piacere.

Per evitare di diventare noiosa, mi dedico al secondo premio, non perché non abbia gradito il primo, tutt'altro, ma proprio perché avevo già partecipato al gioco e ora mi sembra giusto privilegiare l'altro, spero che Pamela mi perdonerà! Per scusarmi, ecco il link al post che avevo dedicato a questa iniziativa: http://elizabethbennett76.blogspot.it/2013/04/premio.html

E ora passiamo al secondo Award.

Regole:
1. elencare 7 cose su di me
2. elencare 15 blog a cui donare a mia volta il premio
3. avvisare suddetti premiati
4. ringraziare il blogger che mi ha premiato
5. inserire il bannerino

Smarcati gli ultimi due punti, ora mi dedico agli altri.

7 cose su di me (che già non sappiate...mica facile!)
-Adoro il bagnoschiuma alle mandorle
-Non sopporto chi si esprime in modo trasandato, sia per iscritto che oralmente
-Non sono una vera sportivona, ma non smetterai mai di giocare a tennis. Anzi sì, ma solo per una bella sciata.
-Non sopporto la maleducazione, se poi come spesso accade si accompagna all'arroganza...apriti cielo
-Credo nella gentilezza
-Non mi sentirete mai dire "vorrei tornare indietro"
-Faccio la splendida, ma ho paura per l'operazione che mi aspetta


I premiati sono:
-Scarlett O'Hara, mamma da meno di un anno!
-Shaula, che ho conosciuto da poco, ma che amo già tanto leggere!
-Serena perchè i suoi post sono sempre misurati, ben scritti...una ventata di freschezza
-La Dea Kalì perchè sono così felice che abbia di nuovo voglia di scrivere!!!!!!!
-Bianca, nuova amica con un talento pazzesco e un sogno grande
-Francesca perchè i suoi post sono poesie!

...oddio scusate, 15 non ce la faccio! Come faccio poi ad avvisare tutte??

12 febbraio, 2014

Verdetti, scorrettezza e desideri

Riassunto delle puntate precedenti.
Da due mesi Lizzie soffre di lancinanti dolori alla gamba destra e alla zona lombare. Dopo lastre, risonanza magnetica e una visita specialistica, il verdetto è ernia del disco. Consigliato intervento.
Lizzie incassa e si rivolge a una stella di prima grandezza, un medico che rimette in campo giocatori di calcio che valgono milionate di euro: stesso verdetto.
Lizzie comincia a metabolizzare.

Oggi.
Splende il sole, la giornata è tiepida e sono rinfrancata da una bella dormita e da un pomeriggio parzialmente trascorso  a spasso per il centro di Torino, in compagnia di mio papà.
Come speravo, la città mi accolta con amore. Cielo blu, colline in vista, montagne bianche. Fauna molto variegata ed interessante: frotte di studenti con un neurone condiviso, "madame" che trasudano ricchezza e incapacità di accettare l'invecchiamento, sciurette al bar davanti a tè e pasticcini dedite ad un sano pettegolezzo, mendicanti esigenti ed invadenti, mendicanti muti come i muri a cui si appoggiano, mamme con carrozzine, papà con carrozzine, qualche manager rampante che non reggerebbe però il confronto con l'analogo esemplare milanese.
Adoro osservare la gente.

Nel tardo pomeriggio, la visita col luminare, che conferma la diagnosi dell'altro medico e rincara la dose.
-Signora, lei sta lavorando?
-Sì
-Sta seduta tutto il giorno?
-Sì
-Però noto già che assume una postura non corretta, per sentire meno dolore. E' controproducente. Le dà fastidio stare alla scrivania, vero?
-Sì, molto, se non prendessi una tachipirina ogni mattina, non ce la farei.
-Stia a casa, le faccio la giustificazione. Lei è giovane: si prenda cura della sua schiena.

"La giustificazione" mi ha ricordato la terminologia scolastica e ha reso questo medico blasonato ancor più umano di quanto già non fosse. Sì, la visita mi ha soddisfatta: meticolosa, approfondita. Il medico, anche: professionale, umano, gentile, alla mano.

Il verdetto non mi stupisce. Un po' di più il dover stare a casa fino all'intervento, ma sapete che c'è: la schiena è mia e ne ho una sola.
Questo lavoro non mi soddisfa e molto probabilmente tra meno di 2 mesi non avrò più un contratto. Penserò a me stessa.
Vorrei poter riposare davvero.

Adesso scrivo una cosa molto scorretta, ma vorrei sedermi su un aereo e volare alle Maldive per sette giorni di ozio totale. Da sola con Darcy. Lo so che ho una figlia. Ma oggi sono così, sono egoista, sono scorretta. Vorrei, per una volta, il caldo del sole sulla pelle, perché il freddo mi fa star peggio. Vorrei sdraiarmi sotto il pelo dell'acqua e sentirne il delicato massaggio. Vorrei non dover indossare calze, maglioni, piumini, perché ogni gesto legato alla vestizione è una fatica. Vorrei non far da mangiare, perché mi stanca. Vorrei trovare i pasti già preparati, belli freschi, tutti per me. Vorrei dover soltanto leggere, ascoltare musica e comunicare (con whatsapp magari, senza usare la voce) con chi amo.
Vorrei non dover pensare che l'inquilino ci ha scaricati e che quindi sta mandando in fumo la mia piccola fonte di reddito, proprio quando sto per perdere (probabilmente) il lavoro. Vorrei essere benestante e non dovermi preoccupare di queste cose. Vorrei vedere la Ballerina via Skype, mentre è in braccio a qualcun'altro, perché per me è diventato un supplizio. Vorrei non sentire un nodo in gola ogni volta che allunga le braccine e mi dice: "Mamma, in braccio!".

Vorrei, ma non posso.

Per adesso inizio la cura e aspetto che mi chiamino, cercando di limitare i danni.

10 febbraio, 2014

Torino

Torino per me vuol dire festa, vuol dire gita, vuol dire giornata speciale.

I miei ricordi hanno radici lontane, quando da piccina, mio papà ci andava per lavoro e io sapevo che al ritorno, avrebbe portato qualcosa per me: un fermaglio per i capelli, un ciondolo d'argento, una spilla luccicante. Torino per me aveva la valenza di grosso scrigno della meraviglie, da cui mio papà attingeva ogni volta.

Poi sono cresciuta e durante le superiori è diventata la città della gite del sabato pomeriggio. Si usciva da scuola e invece di tornare a casa si correva in stazione a prendere il treno, direzione Porta Nuova. Pranzo in un bar e via, a briglia sciolte per le vie del centro, obiettivo quello shopping economico e un po' stupido tipico delle sedicenni senza soldi e senza un gusto ancora definito.
Orecchini astrusi, enormi o piccolissimi, maglioni informi, make-up di dubbia qualità, gonne colorate che mai si indosseranno.
Il tutto condito da lunghe traversate sotto i portici, panini deliziosi (nessuna città al mondo produce panini buoni come quelli di Torino: varietà e qualità sono anni luce al di sopra di ogni paragone, provare per credere), chiacchiere infinite e pettegolezzo libero.
Pomeriggi di totale e irreale spensieratezza, pomeriggi irripetibili.

In seguito Torino è diventata la culla di uno dei giorni più belli che ricordi: mi ha ospitata per un intervento che mi ha cambiato la vita in meglio e non di poco. E solo questo parla da sé.

Nel periodo olimpico poi, da appassionata di sport invernali, ho vissuto con piacere e con orgoglio la sua giusta e strampalata rinascita, fatta di musica, colori e fiumi di persone. Una specie di paese dei balocchi che poi, naturalmente, ha spento le sue luci.

Dopo la nascita di mia figlia, Torino è diventata la città della ricerca, del rimettersi in pista: frequentavo gli uffici di un'agenzia di ricollocomento con cui l'azienda che mi aveva defenestrata aveva un accordo di collaborazione. Usufruivo di un servizio e la cosa mi dava anche l'occasione di fare una passeggiata solitaria per le vie del centro, di prendermi un po' di tempo per me senza sentirmi in colpa, di pranzare con una ex collega e di lasciare a casa la ruotine. Almeno per un giorno ogni tanto.

Domani Torino mi regalerà altre emozioni.
Nel pomeriggio farò una gitarella non proprio di piacere, ma che finalmente potrà darmi delle risposte sulla mia salute, su come risolvere il mio problema alla schiena.
Prenderò un treno, farò un giro sotto i portici, guarderò vetrine e osserverò il cielo che spesso, è più azzurro che non qui. Osserverò le montagne bianche fino in basso che la abbracciano, così vicine che sembra di poterle toccare.
E mi sentirò un po' in vacanza, come sempre quando sono lì, in questa città che frequento poco, che conosco poco, ma che per qualche strano motivo sento famigliare.
Forse perché mi ha sempre accolta dando del suo meglio.

06 febbraio, 2014

Un filo invisibile

Aveva provato in tutti i modi a convincere la madre a iscriverla nella scuola media dove sarebbero andati quasi tutti i suoi compagni, quella proprio lì accanto.
Aveva provato a ignorare il problema.
Aveva provato a fermare il tempo.

Niente aveva funzionato.

In un batter d'occhio si ritrova lì seduta alla scrivania della sua cameretta, con la foto dei suoi compagni appoggiata al muro, perché stia in piedi bella in vista.
Quest'anno non ci sono nemmeno i compiti delle vacanze e per ironia della sorte, lei invece li vorrebbe. Vorrebbe che a settembre potesse tornare nella sua scuola, nella sua aula, con le sue maestre e suoi compagni. I suoi amici.

Invece non è possibile.
La scuola sarà un'altra, lontana, dove di loro si sono iscritti in pochi (cinque, una miseria) e quindi verranno di sicuro sparpagliati nelle otto sezioni disponibili.
Le maestre incontreranno nuovi bambini, che, odiosi marmocchi, prenderanno il loro posto, sia in classe, che nel cuore delle maestre.
Gli amici saranno quasi tutti nella media vicina, in tanti si ritroveranno in classe insieme e comunque al suono della campanella, nell'intervallo o nel cortile, potranno vedersi facilmente.

E lei invece sarà all'altro capo della città con tanti sconosciuti provenienti da scuole sconosciute.

Gli occhi pungono e non c'è motivo per trattenere le lacrime. Già, piange. Piano piano, in silenzio, senza farsi sentire. Piange perché quei luoghi e quelle persone sono il suo mondo e la vita glieli sta portando via. Si domanda se sia normale questa reazione per una bambina di 11 anni. Non lo sa, non lo sa e nemmeno le interessa. Lei ama quelle persone, vuole stare con loro e non vuole separarsene. Il resto ha poco significato.

L'estate passerà, lenta e calda.
In montagna si sta bene, ci sono altri amici, altre cose da fare.
Ma quel pensiero alla sera, ritorna.

Per tutti i tre mesi estivi porterà con sé il portachiavi che le maestre hanno regalato ad ognuno di loro: la fa sentire meno lontana e ancora parte di qualcosa che forse non esiste più.

Poi arriverà settembre, una vita diversa, nuovi luoghi, nuovi amici e la tristezza, piano piano, passerà.


Tanti, tanti anni dopo, alcune foto riportano alla mente quel periodo.
Ritorna vivo un legame che sente non essersi mai spezzato, un legame strano, che forse per molti non ha importanza. Ma forse sì, visto l'entusiasmo nel rivedersi, qualche anno fa.

Un filo invisibile che lega 25 bambini che hanno condiviso cinque anni di vita, cinque anni che hanno insegnato loro a vivere con gli altri, a studiare, a capire le persone, il mondo, a capire se stessi. Scusate se è poco: cinque anni che hanno gettato le basi per il futuro.
Per qualcuno quel futuro è stato brevissimo e questo pensiero, seppur a distanza di così tanto tempo, la sconvolge ancora.

Ma il filo c'è, lei lo sente, non sa se lo sentano gli altri, ma lei lo sente e sa che arriva da ognuno, fino in cielo e poi torna giù e li tiene uniti in qualcosa che ci sarà sempre.



Questo post è dedicato a Paola, che mi legge. A Elena, che ho visto stamattina. A Francesca, con cui ho parlato ieri. A Nicoletta e Federico, perché sono una favola vivente. A tutti, proprio tutti, che vorrei elencare, ma penso sia superfluo. E in particolare, a Daniele e Dorina, che ci guardano dall'alto.

05 febbraio, 2014

Stallo

Tanto per usare una figura retorica leggermente abusata, oggi mi vien da dire che la vita è un percorso ad ostacoli. Ci sono tratti ben asfaltati, dove si corre lisci e senza intoppi e poi ci sono diffuse zone tortuose, sterrate, con buche, pozzanghere (noi non le amiamo, non siamo Peppa Pig), steccati da saltare (ma noi non siamo brave come il tizio dell'olio Cuore) e voragini da superare.

Indovinate che tratto sto attraversando da un po' di tempo a questa parte.

Il mio percorso sembra pericolosamente inceppato. Sono di fronte alla voragine.
Guardo ansiosa a destra e a sinistra, ma non vedo ponti. Guardo dall'altra parte del burrone e scorgo altre persone che mi fanno ciao ciao. Quindi un passaggio ci deve essere, da qualche parte c'è un ponte, oppure mi toccherà calarmi fin giù e risalire?

Forse ognuna di quelle persone si è costruita il proprio ponte, la propria possibilità di andare avanti.

Andare avanti per me significava lasciarmi alle spalle una lunga ed ingombrante esperienza lavorativa, per (ri)trovare la mia strada, quella smarrita dopo gli studi al grido di "cogli il posto a tempo indeterminato qualunque esso sia".
Andare avanti per me significava avere il tempo di coltivare un paio di hobbies che avevo trascurato, piccole cose, ma che mi piacciono e avrei tanto voluto rispolverare.
Andare avanti per me significava dare un fratellino alla Ballerina.

Tre bei ponti, tutti e tre al momento inesistenti quanto un unicorno.

Forse questo percorso a volte richiede di saper accettare le pause, i momenti di stallo che per tanti motivi ci vengono imposti.

Questo è il mio momento di stallo.

Adesso riprovo a guardarmi bene attorno e forse, se osservo bene, troverò una panchina. Magari di quelle di legno dipinto di verde che c'erano quando ero piccola, quelle che venivano incise dagli innamorati. Se ne trovassi una, adesso mi siederei e aspetterei.

Aspetterei di ritrovare un po' di serenità, dopo tutti i sagrin* che mi hanno regalato gli ultimi mesi, aspetterei che arrivasse anche solo un pizzico di bel tempo e poi mi alzerei, per ricominciare il percorso, per cercare ciò che mi serve per costruire i miei ponti.
Sì, aspetterei seduta tranquilla, perché le decisioni non si prendono quando si è sull'onda della tristezza e quando piove, piove, piove da sette giorni filati.

*dispiaceri, preoccupazioni.

04 febbraio, 2014

Stelle senza cielo

Mi colpisce ogni volta l'estrema fragilità umana di chi viene inesorabilmente schiacciato dal cosiddetto starsystem.

Sono rimasta sconvolta in gioventù da Kurt Cobain, bello e talentuoso quanto timido, triste e debole, che un bel giorno decide di spararsi con un fucile. Spararsi con un fucile, roba per cui ci vuole coraggio, spararsi non è come inghiottire sonniferi.

Sono rimasta sconvolta dalla fine di personaggi giovani, belli e di successo, come Heath Ledger e Amy Winehouse.

Sono rimasta malissimo, ma forse ormai era nell'aria, dalla triste storia di Whitney Houston, una donna nata splendida con cinque ottave in gola. Cinque ottave, roba da far paura. Eppure il suo declino è stato lento, ma inarrestabile, come la pallina che rotola sul piano inclinato.

Oggi, mi stupisco ancora, per l'attore premio Oscar Philip Seymour Hoffmann, che si uccide a colpi di eroina, trovato nel suo bagno con la siringa ancora nel braccio.

Eroina, nel 2014. C'è ancora qualcuno che non sa che con l'eroina, si muore?
Non siamo nel '74 e nemmeno nell'84, quando ignoranza e disinformazione hanno fatto fiumi di vittime.
Oggi sappiamo quali sono gli effetti di certe abitudini. Oggi sappiamo che si muore.

Eppure.

Mi ritrovo a pensare che noi "comuni mortali" non dobbiamo avere idea del mondo in cui vivono queste persone.
Siamo portati a pensare "aveva tutto, era giovane, ricco, di successo....poteva essere/fare qualsiasi cosa volesse".

Verrebbe da dire "possibile che non ci fosse un' alternativa?"

Certo che c'è, ma queste persone non la vedono, per motivi che proprio non so comprendere.
E certi demoni non si possono far sparire a suon di dollari, certe paure, il vuoto, il buio che si ha dentro non svanisce in una casa con piscina.

Lo stress e le pressioni devono essere così tanti, così pressanti, che chi ha qualche piccolo problema di equilibrio, di autostima, di controllo, finisce spesso per vivere una vita molto difficile nonostante l'apparenza patinata, a volte addirittura con epiloghi tragici come in questo caso.

Si fa presto a dire "aveva tutto", si fa presto a generalizzare.
Chi di noi può sapere quali fantasmi combattono gli altri?
Chi di noi può sapere quale disperazione vive chi vede come sola possibilità quella di una siringa?

Non giustifico, ma nemmeno giudico.

03 febbraio, 2014

Una mamma di M

E non intendo di Miele, ok?

Ore 16.48
Sono qui in ufficio, sto scrivendo un'email al capo, quando squilla il cellulare.

-Ciao Lizzie, sono Suocera, sorpresa! Siamo tornati oggi, tanto al mare pioveva e le previsioni erano brutte anche per domani. Per stare là chiusi in casa, abbiamo raccolto tutto e siamo tornati un giorno prima. Tu sei in ufficio vero?
-Sì
-Immagino che dopo farai la spesa, quindi ci vediamo sul tardi. Ballerinaaaa, dì ciao alla mamma!
-Maaaammmmaaaaaaa!
-Ciao tesoro ci vediamo stasera. Grazie Suocera, a più tardi.
Click.

Avrei dovuto essere felice che la mia bimba stasera sarà a casa con me e non al mare coi nonni.
Avrei dovuto essere felice che fosse tornata un giorno prima, perché la casa senza di lei sembra vuota.
Avrei dovuto pensare: "Oh che bello stasera la mangio di baci".

Invece sono una mamma di M.

Ho pensato:

Arriverò a casa molto tardi, perché dopo l'ufficio devo fare una maxi spesa, non la faccio da 2 settimane, mi devo pure far aiutare da mio papà perché con la schiena così ridotta non riesco a portare i sacchi e Darcy è Milano.
Arriverò a casa e ci troverò bambina e suoceri e lei, piccolina, avrà tirato fuori TUTTI i suoi giocattoli preferiti e loro (i suoceri) saranno lì beati sul divano.
Io sarò sfatta dopo una giornata di lavoro-lotta, dopo il supermercato e sarò bagnata fradicia dalla pioggia battente, che proprio non vuole darci tregua.
Lei giustamente vorrà attenzioni da parte mia, come fa sempre, dovrò cambiarla, vestirla, coccolarla e giocare con lei sul tappeto. Senza avere il tempo di togliermi gli stivali.
Non ho nulla di pronto per cena. Lei deve cenare non troppo tardi.
Dovrò fare tutto di corsa. Ho lo stendibiancheria piantato in mezzo alla casa.
Dovrò ritirare i panni e metterli via in attesa della stiratura, prima di mettermi a cucinare.
Dovrò cambiarmi, lavarmi e rivestirmi di corsa, per fare in fretta, per stare con lei, per fare la cena prima che arrivi Darcy, che ha mangiato al volo in ufficio e quindi vorrà qualcosa di decente e domani deve di nuovo alzarsi molto presto quindi non possiamo cenare troppo tardi..............Aaaaaaaaaaaaiutooooooo.

E mentre pensavo tutto questo, una vocina dentro di me sussurrava, malefica: certo che sei proprio una mamma di M!